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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2011 alle ore 07:46.

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Ultimatum dei ribelli a Gheddafi (EPA)Ultimatum dei ribelli a Gheddafi (EPA)

Capire a chi si deve credere quando parlano i 31 membri del Comitato nazionale è come chiedere sul fronte di guerra chi comanda: un'operazione, spesso, senza frutti. Se l'anarchia è il tratto distintivo della disordinata armata dei giovani rivoluzionari, l'aria che tira nel Comitato nazionale, il governo de facto della "Cirenaica liberata", non è da meno. Perché è insolito vedere il presidente dell'esecutivo dire una cosa, e poche ore dopo essere smentito da un semplice portavoce.

La Ue congela i beni dei fondi libici (di Adriana Cerretelli)

L'ultima puntata del giallo sui presunti contatti tra Gheddafi e l'opposizione libica inizia con una dichiarazione rilasciata lunedì dal premier de facto, l'ex ministro della Giustizia Mustafa Abdel Jalil. Una sorta di ultimatum a Muammar Gheddafi. «Se lascia la Libia entro 72 ore e ferma i bombardamenti, noi libici non lo perseguiteremo per i suoi crimini», ieri pomeriggio a Bengasi il portavoce del Comitato nazionale, Abdel Afif Guga, ha smentito quanto detto dal suo superiore: nessun ultimatum a Gheddafi. Nessuna rinuncia a perseguirlo penalmente. E, per chi credesse a voci così insensate, nessun tentativo di dialogo, anche indiretto. Una posizione quasi dovuta. Se non lo avesse fatto, il Comitato si sarebbe scontrato con l'intransigenza dei giovani ribelli, che ogni giorno sul fronte vedono i compagni uccisi dall'esercito di Gheddafi. L'ultima cosa che desidera il Consiglio, che ieri ha aperto un sito web «per restare in contatto con il popolo libico e con il mondo».

Chi dice la verità? Tra Guga e Jalil si inserisce la posizione di Fathi Baja, altro membro del Consiglio esecutivo. Baja ha respinto le voci di tentativi di negoziati diretti del governo libico, ma ha confermato le voci di un approccio informale e indiretto. Anche tra le file del regime c'è qualche difficoltà di comprensione. «Un'assoluta sciocchezza», così Abdel-Majid al-Dursi, responsabile dei media al ministero degli Esteri di Tripoli, ha ribattuto alle voci di tentativi di mediazione circolate anche tra i corridoi del governo di Tripoli. Se questo tentativo di negoziato è stato fatto – ha precisato - è stato portato avanti «da persone che hanno agito su propria iniziativa». A dar forza a quest'ultima versione è arrivata anche l'annuncio della tv di stato: non c'è stato alcun contatto segreto con i rivoltosi.

Un quadro molto confuso. Anche sul fronte della più delicata delle questioni: l'instaurazione di una no fly zone per arginare il potenziale offensivo dell'aviazione di Gheddafi. Fino a 10 giorni fa, il Consiglio nazionale era tutt'altro che unito. Ma la situazione di stallo e la superiorità militare delle forze di Gheddafi stanno ricompattando l'esecutivo della Cirenaica. «Vogliamo che la no fly zone sia attivata al più presto» ha detto ieri Mahmud Jebril, capo del comitato di crisi del Consiglio nazionale durante un incontro con gli europarlamentari liberal-democratici a Strasburgo. «Un'azione di target strike» per implementare il divieto di volo «sarebbe accettabile», ha precisato. A meno che Gheddafi non cessi i raid aerei, ipotesi improbabile considerando l'escalation degli ultimi giorni, la no fly zone sembra ormai più una questione di se che di quando. Gran Bretagna e Francia stanno spingendo per una bozza da presentare al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Ieri un funzionario del governo tedesco ha reso noto che anche la Germania è disposta ad aderire a una missione per far imporre la no fly zone sulla Libia, a patto che sia con il consenso del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Anche la Cina, pur premendo per un'azione più morbida, sembra disposta a sostenerla. Il principale scoglio resta la Russia. I paesi arabi del Golfo continuano a premere affinché sia deliberato al più presto. La Nato non ha escluso un intervento militare su mandato Onu o in accordo con la Lega araba e l'Unione africana.

Oltre ai bombardamenti su Zawiya, 50 km da Tripoli, anche ieri la città petrolifera di Ras Lanuf è stata colpita da almeno quattro raid dell'aviazione. Per la prima volta è stata bombardata una casa. Ricorrendo ai tiri di mortaio e ai carri armati le forze di Gheddafi hanno riconquistato Ben Jawad e stanno ora preparando la nuova controffensiva su Ras Lanuf. Se riuscissero a rioccupare i suoi terminali sarebbero guai seri per l'opposizione, già a corto di carburante (le scorte bastano per una settimana). Occorre fare presto, ripetono i consiglieri di Bengasi. E questa volta i 31 autorevoli lo dicono a una sola voce. O quasi.

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