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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 15:38.

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Reattore nucleareReattore nucleare

Gli incendi alle unità 3 e 4 della centrale di Fukushima sono incomprensibili. Tecnicamente. Questi incendi avvengono nelle cosiddette "piscine" di raffreddamento esterne al nòcciolo del reattore, vasconi di cemento armato in cui si depositano le barre di uranio dopo l'uso. Quando viene caricato nel reattore il combustibile nucleare fresco, nuovo, per fare il "pieno" al reattore, le barre usate vengono calate in queste vasche adiacenti al nocciolo, in modo che dopo una stagionatura appropriata nell'acqua perdano gran parte del calore. Passato il tempo necessario (in genere, mesi), diventano scorie e vanno al trattamento.

Per regolamento internazionale, in questi ambiente non ci dev'essere nulla che possa bruciare. Non plastica, non legno. Io ho visto le "piscine" di due centrali, quella di Vandellòs in Catalogna e quella di Caorso (Piacenza). Non ricordo se nel reattore europeo Essor di Ispra (Varese) ci fossero "piscine". Nella "piscina" i raggi gamma conferiscono all'acqua – che frena le radiazioni ed è usata anche nei reattori per moderare i flussi di particelle – un colore celeste brillantissimo, quasi da pennarello evidenziatore. Questa colorazione si chiama effetto Cerenkov.

Non brucia
Le vasche della centrale di Fukushima non hanno potuto avere il raffreddamento dell'acqua, per via del terremoto e dello tsunami, ma ciò non è sufficiente a scatenare incendi. Nell'acqua ci sono le pastiglie di uranio, che non brucia, incamiciate in tubi di lega di zirconio spessi un centimetro e lunghi quattro metri, riuniti in fasci di una settantina di elementi dello spessore di una dozzina di centimetri. Le barre stanno appese a una griglia di sostegno e pèndono immerse in abbondante acqua fresca (e celestissima come un evidenziatore Stabilo Boss). Attorno alla piscina c'è la ringhiera d'acciaio del ballatoio di cemento armato. Le pareti sono di cemento armato. Per il calore, potrebbe essere evaporata buona parte dell'acqua, e le barre – non più raffreddate e senza più la moderazione svolta dall'acqua – potrebbero avere ricominciato a scaldarsi per quella mini-reazione nucleare del decadimento naturale dell'uranio. Per norma internazionale in quegli ambienti non ci deve essere niente di combustibile. Niente. Forse possono bruciare le plastiche dei cablaggi elettrici, forse i tubi e gli oli dei comandi idropneumatici che muovono il carroponte e i dispositivi: ma plastiche di cablaggi e fluidi pneumatici sono in quantità modeste, non sufficienti a sviluppare incendi rilevanti.

Le esplosioni
Qui dobbiamo entrare (per fortuna in modo solamente figurato) dentro al nòcciolo, dentro al reattore, dentro a quel colossale "ovetto Kinder" d'acciaio speciale dalle pareti spesse 16 centimetri e foderate di inox. Le esplosioni sono dovute alla combustione di idrogeno con ossigeno. Il meccanismo è già stato descritto. Il vapore d'acqua, in particolari condizioni di pressione, temperatura e in presenza di metalli che possano fare da catalizzatore, tende a separarsi nei due elementi costitutivi dell'acqua, cioè idrogeno e ossigeno. Le barre di combustibile nel reattore possono ricordare gli elementi di piombo dentro alla batteria della macchina: devono essere sempre immerse completamente nell'acqua. Ma ora le barre sono in parte all'asciutto, in modo differente secondo ciascun reattore. Quando sono asciutte, si riscaldano. E vanno a fondere. Con il calore, la poca acqua comincia a bollire e a far salire la pressione. Metallo, pressione, temperatura, vapore: le condizioni per la formazione di idrogeno. Così quando i tecnici cercano di sfiatare all'esterno un po' di vapore per ridurre la pressione nel reattore e per poter pompare dentro un po' d'acqua fresca, dallo sfiato esce idrogeno e ossigeno. Che appena all'aperto si ricombinano esplodendo.

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