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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 15:38.

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Reattore nucleareReattore nucleare

La marmitta catalitica
Questo problema della formazione dell'idrogeno era stato osservato già con l'incidente di Three Miles Island (Pennsylvania 1979), e da allora le norme internazionali hanno imposto che gli sfiati d'emergenza di ogni reattore al mondo devono avere, dentro l'edificio di contenimento che racchiude il vessel d'acciaio, una specia di "marmitta catalitica". Questo dispositivo deve essere progettato sulla base della portata massima ipotizzabile di vapori. Si tratta di un "barilotto" pieno di spugna di palladio. Il palladio, si sa, è un ottimo catalizzatore: non a caso si usa anche nei catalizzatori della macchina. Chi vuole figurarsi com'è fatta questa spugna di pallasio può immaginare la paglietta di ferro che si usa per scrostare le pentole. Quando si sfiata vapore da un reattore, questo vapore deve passare per questa marmitta catalitica. Se ci sono idrogeno e ossigeno, passando fra la paglietta di palladio si ricombinano senza esplodere e tornano allo stato di acqua, che gocciola fuori, nell'intercapedine fra l'acciaio del reattore e il cemento del contenimento secondario.
Questo non sembra essere accaduto.

Tre ipotesi
Si può ipotizzare che le "marmitte" fossero sottodimensionate rispetto alla quantità di vapore (con idrogeno) che esce dai reattori di Fukushima. Ma non ha senso. Sapendo la sezione del tubo di uscita, cioè qual'è larga la conduttura, qualunque ingegnere sa calcolare la portata massima di vapore, e quindi sa dimensionare il ricombinatore in modo corretto. Allora potrebbe essersi trattato di un errore di progetto. Si può ipotizzare che i dispositivi non funzionassero. Ma non sono dispositivi elettrici, con comandi, con attuatori. Funzionano proprio da soli al semplice passaggio dei gas, esattamente come le marmitte catalitiche dell'auto. Può darsi (sto scherzando, e sorridere nella tragedia può essere inopportuno) che qualcuno abbia rubato il palladio, che vale uno sproposito. Terza ipotesi: le "marmitte" non c'erano.

I reattori sono interi. Per ora
I tre reattori in difficoltà sono interi, altrimenti sibilerebbero vapore radioattivo con idrogeno e ossigeno ad altissima pressione come fa sul fornello la valvola della pentola a pressione. La pressione dentro scenderebbe in brevissimo tempo e i tecnici potrebbero pompare acqua fredda nel reattore. Hanno subito danni invece le strutture del secondo contenimento, cioè l'edificio di cemento armato che avvolge il nòcciolo. Le esplosioni dovrebbero avere sconnesso gli elementi, aprendo commessure e scollegando l'acciaio del nòcciolo dall'abbraccio ermetico del calcestruzzo.

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