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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 11:51.

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Cina, centrale nucleare in costruzione a Fuqing (Afp)Cina, centrale nucleare in costruzione a Fuqing (Afp)

SHANGHAI – L'incubo di Fukushima spinge la Cina a rivedere i suoi ambiziosi piani di potenziamento nucleare che, sulla carta, prevedono l'installazione di 400 gigawatt di potenza entro il 2050. Nelle ultime ore il Consiglio di Stato ha deciso di sottoporre tutte le centrali nucleari esistenti a uno speciale test di sicurezza. In sostanza, gli ispettori di Pechino dovranno valutare se i 12 reattori attualmente in funzione nel paese (sono distribuiti su 4 centrali che sviluppano una capacità complessiva di 10 gigawatt annui) sarebbero in grado di resistere a stress analoghi a quelli che una settimana fa in Giappone, dopo lo tsunami e il terremoto, hanno mandato fuori controllo gli impianti di Fukushima.

Il Consiglio di Stato ha anche deciso di congelare tutti i progetti in essere per verificare che corrispondano agli standard di sicurezza. La moratoria riguarda una dozzina di nuove centrali già in fase di costruzione, più altre 25 la cui progettazione si trova in uno stadio avanzato.

Il nucleare è uno dei pilastri della politica energetica cinese. Spinta dalla fame crescente di materie prime necessarie per alimentare lo sviluppo economico e il processo di modernizzazione del paese, qualche anno fa Pechino ha capito che il suo portafoglio energetico andava radicalmente cambiato. E anche in tempi rapidi.

Per due ragioni. Una di carattere economico-politico: importare combustibili fossili costa, e costituisce un rischioso fattore di dipendenza dall'estero. L'altra di carattere ambientale: oggi il carbone copre quasi il 70% del fabbisogno energetico cinese e contribuisce per l'83% alle emissioni di gas serra del Dragone.

Così, all'inizio del decennio scorso, il governo cinese ha deciso di rispolverare i vecchi progetti di sviluppo dell'energia nucleare rimasti per lungo tempo nel cassetto. La storia del nucleare in Cina, infatti, è lunga e controversa. Verso la metà degli anni '70, Pechino sembrava sul punto di abbracciare l'opzione nucleare per sostenere la crescita della domanda domestica di energia elettrica. Ma poi una serie di considerazioni spinsero il governo a raffreddare il progetto.

Primo: all'epoca la Cina poteva contare su abbondanti risorse di acqua, carbone e anche di petrolio che le garantivano la totale autosufficienza energetica.

Secondo: a differenza del vicino Giappone (che da allora non a caso ha costruito una sessantina di centrali), la Cina era stata solo sfiorata dalla prima crisi petrolifera del 1973.

Terzo: non avendo sviluppato in casa un know how nucleare, Pechino per sviluppare la produzione di energia atomica sarebbe dovuta dipendere dai trasferimenti di tecnologia dall'estero.

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