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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 11:51.

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Cina, centrale nucleare in costruzione a Fuqing (Afp)Cina, centrale nucleare in costruzione a Fuqing (Afp)

Quarto: a quei tempi la Cina era un paese povero e isolato dai commerci internazionali che non poteva permettersi di sostenere gli onerosi investimenti richiesti dallo sviluppo di un piano nucleare in grande stile.

Ma la globalizzazione ha infranto per sempre il mito dell'autosufficienza energetica, spingendo la Cina verso nuovi orizzonti. Tra cui, appunto, l'energia nucleare che è diventata un settore strategico nel piano di diversificazione del portafoglio energetico nazionale. E quando i cinesi attribuiscono a un progetto una valenza strategica per il bene nazionale fanno sempre sul serio e non badano a spese. Il piano di sviluppo dell'energia nucleare messo a punto dal Dragone è senza dubbio il più colossale per investimenti, impiego di tecnologia e tempi di realizzazione nella storia dell'industria atomica.
Oggi, oltre la Grande Muraglia, sono in funzione 12 reattori nucleari, distribuiti su 4 centrali che hanno una capacità complessiva di 10 gigawatt annui: noccioline rispetto ai 373 gigawatt di potenza installati oggi nel mondo.

L'obiettivo di Pechino, secondo quanto previsto da una recente revisione del piano originario elaborato nei primi anni Duemila, è di aumentare la propria capacità atomica di altri 70 gigawatt entro il 2020 (a quel punto la potenza installata complessivamente salirà a 80 gigawatt), tramite la costruzione di 28 reattori di nuova generazione. Di questi, una ventina sono già in costruzione e almeno una dozzina dovrebbe entrare in funzione già entro il 2015.

A regime, il nucleare, che oggi copre poco più dell'1% del fabbisogno energetico nazionale, dovrebbe arrivare a soddisfare circa il 5% della domanda del Dragone.
In base ai piani originari, il potenziamento atomico cinese avrebbe richiesto circa 50 miliardi di dollari di investimenti (al tasso di cambio dell'epoca, oggi sono circa 10 miliardi in più). Con gli ampliamenti decisi in corso d'opera, posto che ogni gigawatt di potenza supplementare costa circa 2 miliardi di dollari, oggi l'impegno complessivo di Pechino si aggira intorno a 120 miliardi di dollari.

Una cifra colossale che, nel giro di un paio di decenni, trasformerà la Cina nel principale produttore di energia atomica del pianeta. E che, intanto, ha attirato come mosche al miele i grandi constructor internazionali come Areva, Westinghouse, Aecl, General Electric e Rostam, per i quali la scommessa cinese sul nucleare è una ghiotta e irripetibile opportunità di business.

Ma potrebbe essere solo l'inizio. Alcuni esperti del settore, infatti, stimano che, entro la metà del secolo, la Cina dovrà costruire altre 200 (se non addirittura 300) nuove centrali nucleari per soddisfare la sua domanda crescente di energia.

Se questi piani dovessero concretizzarsi, entro il 2050 Pechino si ritroverà con 400 gigawatt di potenza nucleare installata, cioè un terzo della capacità atomica mondiale complessiva prevista per quella data dalla International Energy Agency (secondo le stime di quest'ultima, questi 1,2 milioni di gigawatt serviranno a soddisfare il 25% della domanda globale di energia elettrica).

L'uranio da bruciare nei reattori sarà reperito in parte tra le mura di casa (lo Xinjiang è ricco di giacimenti, e questa è la ragione per cui Pechino ha sempre stroncato sul nascere qualsiasi tentazione indipendentista della Provincia dell'Ovest cinese), e in parte sui mercati internazionali, sui quali il Dragone negli ultimi anni ha concluso numerosi accordi con grandi paesi produttori come Australia e Kazakhstan.

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