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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 06:43.

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ROMA
Una celebrazione a metà, con ministri e sottosegretari presenti a Montecitorio – cinque in tutto – ma con le assenze in massa dei parlamentari. In realtà, in Aula i deputati padani erano due, Stefano Allasia – «scelto perchè sono piemontese» – e Sebastiano Fogliato (probabile sottosegretario all'Agricoltura nel rimpasto): 2 su 85. Una mossa studiata ad arte per restare nel solco della propaganda leghista anti-unitaria ma anche per rispettare un protocollo istituzionale oggi indispensabile per il Carroccio. E non solo perchè Roberto Maroni è il ministro dell'Interno – e la sua assenza sarebbe stata uno strappo senza precedenti – ma perchè il partito di Umberto Bossi non vuole compromettere il rapporto con il Quirinale. La ragione vera di quella presenza ieri, sia pure ai ranghi ridotti della squadra di governo leghista, ha questo significato: mantenere buone e distese relazioni con Giorgio Napolitano. Non è un caso se Umberto Bossi, presente alle celebrazioni di Montecitorio, abbia tenuto a sottolineare il «bel discorso» del presidente della Repubblica aggiungendo che «lui è una garanzia». Meno accorto è stato quando ha parlato di Silvio Berlusconi e dei fischi che ha ricevuto il premier nelle celebrazioni della mattinata a Roma: «Peggio per lui».
Stesso spartito per Roberto Maroni che nel suo commento serale ha parlato solo e unicamente del capo dello Stato e del suo «apprezzamento per il discorso del presidente che «nella ricostruzione del Risorgimento non ha omesso il riferimento alle spinte federaliste». Certo, al Carroccio interessava piegare il discorso di Napolitano tutto sul versante delle autonomie locali e della loro importanza, come si è affrettato a dire Maroni, ma il Quirinale è un interlocutore politico troppo prezioso per la Lega per far calare il gelo. Questa è la sostanza che il Carroccio ha voluto proteggere, il resto è la consueta e prevedibile propaganda padana. Fatta di mancati applausi all'inno – anche a Montecitorio – dello snobismo verso le coccarde che il Senatur dice di usare «sull'albero di Natale» mentre sfoggiava il simbolo di San Patrizio. Già perchè la Lega preferisce la festa irlandese ma questo è ancora folklore.
Ma insomma quelle assenze parlamentari erano per farsi notare di più? «Ma no, molti parlamentari sono sindaci o presidenti di provincia, sono amministratori locali e quindi avevano la necessità di essere nei territori più che a Roma. Forse qualcuno ha sottovalutato la nostra esigenza di essere nei luoghi». A parlare è Giacomo Stucchi, deputato di Bergamo – provincia molto influente nella geopolitica leghista – e probabile prossimo capogruppo leghista alla Camera. Anche lui sminuisce ma chiarisce che «dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo è stata lasciata una partecipazione libera» e, dunque, nessuno si è presentato. Chiaro che invece è stata una scelta concertata, come accade per tutte quelle che riguardano la Lega, e che l'unico segnale che andava dato era verso Napolitano.

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