Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2011 alle ore 19:19.
Dalla Siria allo Yemen continuano le proteste nel mondo arabo. Scontri, proteste di piazza e la sensazione che i paesi a maggioranza musulmana vivano in un continuo stato di emergenza mai davvero rientrato dalla rivolta dei gelsomini in Tunisia a dicembre.
In Siria 15 morti durante le proteste
Sono almeno 15 le persone rimaste uccise oggi a Daraa, città della Siria meridionale da sei giorni teatro di proteste di piazza senza precedenti, secondo un nuovo bilancio fornito da attivisti per la difesa dei diritti umani. Fra le nove vittime degli scontri con le forze dell'ordine vi sono un bambino, due donne e un medico. Le altre sei sono state uccise durante i funerali delle prime nove: «Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla durante i funerali», ha dichiarato uno degli attivisti, smentendo la versione ufficiale del regime, che ha parlato della violenza di «bande armate». Il presidente Bashar al-Assad ha emesso un decreto per le dimissioni di Faysal Kulthum, governatore di Daraai. Le manifestazioni di protesta si susseguono in Siria da febbraio. Tra le richieste, c'è la revoca dello stato di emergenza in vigore da 48 anni. La tensione è salita il 6 marzo quando un gruppo di adolescenti è stato arrestato a Deraa per aver scritto sui muri slogan contro il regime di Bashar al-Assad, succeduto nel 2000 al padre Hafez. Da quel giorno la partecipazione alle manifestazioni si è fatta più consistente. Il 18 marzo le forze di sicurezza hanno reagito con particolare durezza: sei morti tra i dimostranti.
Trenta giorni di stato d'emergenza nello Yemen
Il Parlamento yemenita ha approvato lo stato d'emergenza decretato lo scorso venerdì dal presidente, Ali Abdullah Saleh che durerà 30 giorni. Ma cresce la tensione nel timore che questo stato d'emergenza possa scatenare una nuova «strage» e repressione delle proteste anti-regime. Nel tentativo di placare la richiesta di sue dimissioni, il presidente ha offerto un referendum costituzionale, elezioni parlamentari e soprattutto nuove elezioni presidenziali entro fine anno. Ma l'opposizione non è intenzionata ad allentare la presa. E le proteste contro Saleh, da 32 anni alla guida del poverissimo paese nella penisola arabica (disoccupazione al 35%, con punte al 50 tra i giovani), iniziano a preoccupare le diplomazie occidentali che temono che le varie cellule di Al Qaeda, già molto attive, possano rafforzarsi ulteriormente in assenza di uno Stato forte. Lo Yemen confina con l'Arabia Saudita, il maggiore produttore di greggio e con le rotte marittime più trafficate al mondo. Negli ultimi due anni ci sono stati già molti attentati contro interessi sauditi e Usa nella regione. A lungo sostenuto dai leader arabi e occidentali in quanto uomo forte capace di unificare un paese molto tribale, davanti al parlamento Saleh ha agitato lo spettro della guerra civile e della disintegrazione qualora venisse rimosso da un colpo di Stato. Molti ambasciatori, deputati, capi tribù e alti ufficiali dell'esercito, tra cui il potente generale Ali Mohsen, si sono già schierati contro Saleh e la feroce repressione che ha provocato il massacro di 52 manifestanti venerdì. Ma gli Stati Uniti sembrano avere la speranza che Saleh, fedele alleato di Washington nella guerra al terrorismo, possa resistere.
Libano, rapiti sette turisti
Sette turisti europei ritenuti dispersi sono stati «verosimilmente rapiti» nella regione libanese della Bekaa, nella parte orientale del paese. Lo ha affermato un portavoce dell'esercito di Beirut.
Arabia Saudita
A Riyad sono stati arrestati 100 manifestanti nelle proteste di piazza nell'est del paese la settimana scorsa, denunciano gli attivisti dei diritti umani.
Bahrain
Il governo di Manama ha sospeso i voli da e per il Libano dopo le dichiarazioni del partito filosciita Hezbollah a sostegno delle proteste degli sciiti del Bahrain.
©RIPRODUZIONE RISERVATA