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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 22:47.

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Potrebbe costare 3 miliardi di euro lo smantellamento dei quattro reattori danneggiati nella centrale nucleare di Fukushima, devastata tre settimane fa dal terremoto e dalla successiva onda di maremoto.
Questa la stima degli esperti del settore per i lavori che dovrà sostenere la società elettrica di Tokio, la Tepco, proprietaria dell'impianto. Infatti lo smantellamento di un reattore costa in media quasi un miliardo di euro.

La spesa potrebbe dare un colpo mortale alla società elettrica giapponese, se non interverrà (come pare) il governo giapponese per un salvataggio dei conti.
Nel frattempo è stata definita l'altezza dell'onda di maremoto che l'11 marzo ha spazzato la centrale atomica in riva al Pacifico. L'onda devastante era alta 14 metri.
La centrale – che si trova su un terrapieno in riva al mare alto una decina di metri – era progettata per sopportare un'onda di maremoto dell'altezza di 5,7 metri.
In altre parole l'impianto è stato allagato fino a un'altezza di 4 metri, e l'acqua è entrata ovunque, tranne che nell'edificio reattore che è a tenuta stagna.
I due motori diesel d'emergenza, che subito dopo la scossa di terremoto erano entrati in funzione per alimentare i sistemi e l'impianto di raffreddamento, si trovano a ridosso dei sotterranei di sentina sotto al locale turbìne, qualche metro sotto il terrapieno. Sono finiti allagati del tutto. La violenza dell'onda ha anche demolito i serbatoi di gasolio per alimentare i diesel, serbatoi che si trovavano a ridosso della riva del mare.

Le radiazioni stanno andando a una graduale normalizzazione, soprattutto nello spiazzo a nord-ovest della centrale, che era quello dove s'era depositata la maggior parte dei radionuclìdi. Ciò fa pensare che le emissioni di vapori radiattivi si siano interrotte.
Sembra chiarito il fatto che le esplosioni di idrogeno siano dovute non alla formazione di idrogeno all'interno dei vessel, idrgoeno liberato quando è stato fatto sfiatare il vapore dai nòccioli per alleggerire la pressione dall'interno dei vessel.
In altre parole, avrebbero funzionato le "marmitte catalitiche" per ricombinare idrogeno e ossigeno dai vapori in uscita dal vessel.
Invece l'idrogeno si sarebbe formato all'esterno, nelle piscine di deposito del combustibile usato.

La sospensione del raffreddamento ha mandato in ebollizione gran parte dell'acqua, le barre scoperte, esposte e rimaste a secco si sono surriscaldate, l'uranio è entrato in fusione, e la classica combinazione di temperatura, metallo e vapore ha prodotto l'idrogeno, che è esploso in molte occasioni devastando l'edificio esterno della centrale.
Nei giorni scorsi addetti della centrale hanno tentato più volte di entrare nell'edificio turbìne, completamente allagato di acqua radioattiva, per tentare di posare cavi nuovi e impermeabili e riattivare l'allacciamento elettrico.
Infatti non si può allacciare l'elettricità in una centrale sventrata e allagata.

La missione finora è fallita.
Gli addetti che hanno lavorato immersi nell'acqua avevano riportato un'esposizione a 1.179 millisievert, ma si trattava di una radioattività sì intensa ma caratterizzata da raggi beta, i quali non penetrano nella pelle. Però la ustionano.
Il reattore 2 continua a essere a temperatura pericolosa, 270 gradi. Per fortuna la pressione è ragionevole e non ci sono rischi di esplosione del vessel dovuti a eccesso di pressione.
Questi dettagli si apprendono un poco alla volta perché ci sono zone della centrale in cui è impossibile avvicinarsi, zone devastate da detriti e crolli.

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