Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 06:37.

My24

L'appuntamento in genere era la domenica sera. Nella sua villa di Marino, Cesare Geronzi - parliamo di qualche anno fa - ospitava Silvio Berlusconi e Antonio Fazio. E lì, sotto gli alberi, magari con la scusa di un tiro a bocce, si discuteva e soprattutto si decideva. Il capitalismo relazionale di Geronzi, nella sua declinazione più prossima alla politica, era anche questo: lontano dai riflettori, ma anche dalle consunte liturgie della terrazza romana ben rappresentate da un noto sito web sul quale la classe dirigente butta l'occhio almeno un paio di volte al giorno. Da Marino - cuore vinicolo dei Castelli - è partito, e lì torna sempre. Un legame forte con il territorio: la moglie Giuliana Iozzi, marinese come lui, prima ha lavorato al rilancio della famosa Festa dell'Uva di Marino (descrita da una celeberrima canzone) e poi ha ricoperto incarichi al comune, accarezzato l'idea di diventare sindaco sostenuta da tre liste civiche trasversali da destra a sinistra, a conferma di una vocazione familiare. Ma con ogni probabilità ha inciso anche sul carattere dell'uomo, per nulla incline al sussiego, in privato schietto, in pubblico essenziale.
La famiglia fa sacrifici e lo fa studiare, tanto che nel 1960 supera il concorso in Banca d'Italia, dove negli anni creerà la base su cui costruirà una carriera formidabile e a cui resterà sempre legato («un saio che ti porti sempre addosso», è uso definire il passaggio in via Nazionale). Allievo di Guido Carli, in pochi anni di lavoro a capo basso arriva a guidare l'uffico cambi, snodo nevralgico della politica monetaria, da dove tiene d'occhio gli speculatori che via via mettono sotto pressione la liretta dell'epoca, che passava da una svalutazione all'altra. Un potere reale immenso, in realtà. Un giorno, raccontano le biografie, il grande Beniamino Andreatta affermò in Parlamento: «Mentre voi state discutendo, c'è un signore di nome Cesare Geronzi che manipola il tasso d'inflazione del nostro Paese». Era la prima volta che il suo nome veniva pronunciato in pubblico, anche se gli adetti ai lavori lo conoscevano bene. Ricorda Florio Fiorini, nei primi anni '80 a capo della finanza dell'Eni, che quando esagerava con le operazioni spericolate lo chiamava Geronzi, ribattezzato "il dottor Koch", dal nome del palazzo dove ha sede la banca centrale. Lì stabilisce un soldalizio con Antonio Fazio, che negli anni avrà alti e bassi. Esce da Bankitalia e segue Rinaldo Ossola al Banco di Napoli, ma l'esperinza dura poco, i napoletani dell'epoca non amavano i colonizzatori. Appoggiato da Carlo Azeglio Ciampi ricomincia dalla piccola Cassa di Risparmio di Roma, che in poco tempo diventerà il più formidabile polo aggregante bancario d'Italia, per la verità senza badare troppo ai ratios o alle sofferenze nascoste tra le pieghe. La sonnacchiosa banchetta romana, grazie ai buoni uffici di Giulio Andreotti, si pappa il Banco di Santo Spirito, all'epoca dell'Iri. Non è solo crecita dimensionale: si tratta della banca di fiducia del Vaticano, che storicamente ha sede proprio di là dal ponte di Castel Sant'Angelo. Ma il vero salto lo fa subito dopo con l'acquisizione del Banco di Roma - l'altro istituto di fiducia della Santa Sede e dell'intera classe politica democristiana, ma che soprattutto ha in pancia la quota Mediobanca che sarà strategica per gli sviluppi futuri - venduta dall'Iri presieduto da un altro andreottiano di ferro, Franco Nobili. Sono gli anni in cui tutto o quasi si decide nello studio al terzo piano del Presidente, a piazza San Lorenzo in Lucina, e in cui le diramazioni del potere andreottiano si allargano dalla partecipazioni statali all'imprenditoria privata che in un modo o nell'altro fa affari con lo Stato. A chi chiede come fare per portare in fondo un'operazione, il Presidente - raccontano quelli che gli sono stati vicino a lungo - risponde «parlatene con Geronzi».
Ma tangentopoli è in arrivo e Silvio Berlusconi sta per scendere in campo. Con il Cavaliere - e con il suo plenipotenziario Gianni Letta - sarà stretto un sodalizio che dura fino ad oggi, e che passa nel 1995 per il sostegno all'operazione Wave che porta in Borsa Mediaset. Anche se Geronzi - che nel fattempo aggrega Bna e Mediocredito - non trascurerà di stringere con altri, tra cui Massimo D'Alema e Piero Fassino, ma anche con Walter Veltroni (per la verità in maggiore sintonia con Matteo Arpe) con il quale condivide ufficialmente la battaglia della romanità, preservando la banca dagli appetiti nordisti. Prestare denaro è politica, forse della più efficace, lo sa lui, lo sanno gli altri. E così la Banca di Roma sarà sempre al centro di partite cruciali come la ristrutturazione del debito dei Ds e il sostegno finanziario all'Unità e al Manifesto. Ma anche il calcio è potere, e ad un certo punto Geronzi avrà in mano i destini aziendali della Roma (ancora oggi in ballo) e poi della Lazio - a lungo sponsorizzata direttamente sulle magliette biancocelesti - di Fiorentina e Perugia. La Banca è al culmine del suo radicamento, porta in Italia gli azionisti libici, ma il gioco si fa duro, spuntano i guai giudiziari, di lì a poco l'alleanza storica e ostentata con Fazio si rompe sulla partita Antonveneta, che il Governatore aveva destinato alla Popolare di Lodi (vicenda che ancora occupa le aule di giustizia). Sono gli anni in cui Geronzi consolida un rapporto con Tremonti, che fu il più fiero avversario di Fazio tanto da ottenerne le dimissioni a fine 2005. Ma in tempi recenti - proprio lo scorso novembre - in una delle rare uscite pubbliche, arriva dopo molto tempo e tanto gelo l'attesa riappacificazione ufficiale, con il riconoscimento del ruolo svolto dal Governatore nel «disboscamento della foresta pietrificata» e la chiamata dell'amico Antonio alla guida del comitato scientifico della Fondazione Generali. Intanto, è il 2007, da meno di un anno Intesa si è fusa con il San Paolo, e il tempo stringe per chiudere operazioni di sistema. Nasce così l'operazione che porta UniCredit ad acquisire Capitalia, che gli spianerà la strada per la guida di Mediobanca che anni prima, ha detto sempre di recente, «avevamo pacificato» trovando l'accordo tra soci italiani e francesi. Un gioco in grande nel quale Geronzi dà il meglio di sè, dove ogni cosa passa senza trovare ostacoli, come l'eliminazione del sistema di governance duale faticosamente varato da Piazzetta Cuccia poco prima. Quando fu decisa la fusione con UniCredit e Capitalia andava dentro la pancia di un colosso nordico-tedesco la Chiesa, si allarmò: che fine faranno i rapporti stretti tra l'ex Santo Spirito e le mille diramazioni ecclesiali, dal momento che tutto finiva in un conglomerato di diversa marca? Ed ecco Geronzi che all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede incontra i vertici della Cei per rassicurare che la direzione di marcia non cambiava. Ma è con il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che il rapporto è particolarmente fecondo. Un segnale è stata l'assunzione come capo delle relazioni istituzionali prima in Capitalia e poi in Mediobanca del giovane avvocato ligure Marco Simeon, pupillo del cardinale. Eppoi le nozze di una delle figlie di Geronzi personalmente celebrate da Bertone, nel dicembre 2007 a Santo Spirito in Sassia. Tra gli ospiti della cerimonia, ricordano le cronache dell'epoca, anche nomi che in queste ore ricorrono di continuo, come il suo predecessore alla presidenza di Generali, Antoine Bernheim, e i vertici di Mediobanca, Renato Pagliaro e Alberto Nagel.

Shopping24

Dai nostri archivi