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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 22:33.

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«Il pacchetto sicurezza aveva tantissime norme. La sentenza della Consulta non lo smantella. Correggeremo, per ripristinare al più presto il potere di ordinanza dei sindaci, perché è una norma importantissima». Così il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, durante "Porta a Porta", ha commentato la sentenza 115/2011 della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima una parte del pacchetto sicurezza. La Consulta è intervenuta «nella parte in cui consente che il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotti provvedimenti a "contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato", al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minaccino la sicurezza urbana, anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza».

La norma che consente ai sindaci di emanare ordinanze a tutela della «incolumità pubblica» e della «sicurezza urbana» è stata bocciata in parte perché secondo i giudici della Consulta concedeva poteri non sufficientemente delimitati dalla legge ai primi cittadini, trasformati in sindaci-sceriffi secondo la sintesi giornalistica adottata in occasione dell'approvazione parlamentare della legge. Il caso, sollevato di fronte al Tar del Veneto dall'associazione Razzismo Stop contro il comune di Selvazzano Dentro, riguarda un'ordinanza per proibire l'accattonaggio.

Rischio discriminazione per le minoranze etniche
Nello specifico, la norma parzialmente cassata dalla Corte costituzionale è «l'articolo 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), come sostituito dall'articolo 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, numero 125», ove indica che «il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana». Secondo il giudice delle leggi la locuzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti» di fatto lascia mano libera ai sindaci con un potere di ordinanza «non limitato ai casi contingibili e urgenti». La norma quindi «non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati».

Per la Consulta, quindi, la norma vìola l'articolo 23 della Costituzione («Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»), l'articolo 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali») e l'articolo 97 primo comma («I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione»). In particolare, la legge sarebbe discriminatoria nei confronti delle minoranze etniche proprio nel consentire ordinanze come quella anti-mendicanti contestata in Veneto, perché «gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci».

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