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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 06:38.
Non è la prima volta che lascia capire di essere pronto a passare il testimone. Ma questa volta, l'annuncio di Silvio Berlusconi che lancia Angelino Alfano come futuro candidato premier e apre la strada al Quirinale per Gianni Letta, ha il timbro dell'ufficialità. Il sugello del premier al suo delfino, l'attuale Guardasigilli, e alla salita al Colle per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, arriva nell'incontro con la stampa estera di martedì sera ed è stato rilanciato ieri sul sito del Wall street journal e dalle agenzie di stampa internazionali. Il virgolettato sembrerebbe non lasciare spazio a dubbi: «Se ci sarà bisogno di me come padre nobile, sono disponibile. Potrei essere capolista del mio partito ma non voglio un ruolo operativo», ha detto il premier, che avrebbe poi indicato Alfano pronto a «sostituirlo» a Palazzo Chigi.
Affermazioni che però da Roma vengono subito ridimensionate. «Una cosa è fare un ragionamento, ben altra è rendere quel ragionamento come una certezza assoluta», spiega il portavoce del premier Paolo Bonaiuti. Lo ripete poco dopo anche il coordinatore del Pdl Denis Verdini, pronto a tranquillizzare i sostenitori del Cavaliere che – racconta – hanno inviato fax e mail per «chiedere a Berlusconi di resistere, di non andare via».
Insomma, si sarebbe trattato soltanto di una delle tante ipotesi possibili all'interno di una chiacchierata informale. Probabilmente in parte è così e il caso è riconducibile alla scarsa frequentazione del premier italiano da parte dei giornalisti stranieri e forse anche a un diverso rapporto che negli altri Paesi, in particolare quelli anglosassoni, intercorrono tra la stampa e chi riveste cariche di governo. Ma c'è anche un'altra e più sostanziale ragione che impone all'entourage berlusconiano di ridimensionare le affermazioni del premier: si chiama Umberto Bossi. Il Cavaliere non vuole irritare il suo azionista di riferimento che in più occasioni gli ha detto: «Finché ci sei tu è un conto... poi vedremo». E nel Carroccio non sembra che l'eventuale candidatura di Alfano strappi applausi, non fosse altro che per un partito che si richiama fin dal nome al Nord è difficile digerire (e far digerire ai propri elettori) un presidente del Consiglio siciliano. Anzi, c'è chi sostiene che i leghisti potrebbero perfino contrapporgli un proprio candidato, per arrivare poi a una mediazione su un nome «amico» come quello di Giulio Tremonti.
Ma c'è anche un'altra ragione che spinge a ridimensionare le dichiarazioni del premier. Il successo ottenuto ieri sul processo breve non annulla le tensioni interne al Pdl, di cui Berlusconi finora ha evitato volutamente di occuparsi ma che la sua annunciata uscita di scena potrebbero rilanciare in modo ancora più preoccupante. Ieri sera mentre Fabrizio Cicchitto festeggiava con un gruppo di deputati la vittoria alla Camera, Claudio Scajola aveva dato appuntamento a cena a una quarantina di parlamentari che fanno parte della fondazione Cristoforo Colombo. L'ex ministro dello Sviluppo vuole tornare a contare ma un suo ingresso nel governo al momento sembra escluso. Anche gli ex An sono in subbuglio. Altero Matteoli ha deciso di sfidare Ignazio La Russa per la leadership della corrente aennina. Una guerra tra ex colonnelli da cui gli azzurri si tengono alla larga e alla quale fanno capire di essere poco interessati: «Decidano loro, per noi che sia La Russa o Matteoli fa lo stesso». Anche perché il vero obiettivo di chi proviene da Fi è di azzerare il triumvirato, magari lasciando il solo Verdini alla guida come coordinatore unico. Berlusconi non intende prendere parte alla diatriba, tant'è che ha lasciato a Cicchitto e Gasparri il compito di organizzare la cena "riparatrice" tra le varie anime pidielline che si terrà stasera e alla quale – riferiscono – potrebbe fare giusto un "salto" per il caffè.