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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2011 alle ore 20:15.

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L'Onu pensa a una nuova risoluzione sulla LibiaL'Onu pensa a una nuova risoluzione sulla Libia

A ventiquattr'ore dall'intervento di Obama, Cameron e Sarkozy pubblicato su alcuni quotidiani internazionali in cui si afferma che è «impossibile immaginare che la Libia abbia un futuro con Gheddafi», le Nazioni Unite non escludono un dispiegamento dei Caschi Blu in caso di un cessate il fuoco tra il governo di Tripoli e i ribelli di Bengasi. Lo ha riferito il capo del dipartimento per il peacekeeping dell'Onu, Alain Leroy.

«Sia chiaro che è prematuro parlarne adesso, ma se ci fosse un cessate il fuoco, esso andrebbe monitorato, e si potrebbe ricorrere ai militari delle Nazioni Unite», ha detto Leroy durante una conferenza stampa al Palazzo di Vetro. Che ha sottolineato come l'Onu stia lavorando ad un piano che potrebbe avere un futuro, ma che al momento «non è sul tavolo del Consiglio di Sicurezza», cui spetterebbe il via libera al dispiegamento dei militari.

La Francia chiede una nuova risoluzione Onu
Che la situazione diplomatica sia in movimento è confermato dall'iniziativa della Francia - Paese che ha spinto per la prima risoluzione Onu a inizio marzo - che pensa a un nuovo pronunciamento del Consiglio di sicurezza. In particolare, il ministro della Difesa transalpino, Gerard Longuet, ha ammesso che «certamente» si sta andando oltre la risoluzione 1973 dopo l'intervento di Obama, Sarkozy e Cameron, secondo i quali snon si tratta di mandare via Gheddafi «con la forza». Tuttavia, aggiungono, «è impensabile che chi ha voluto massacrare il suo popolo svolga un ruolo nel futuro governo della Libia»..

L'attuale risoluzione dell'Onu non fa alcun riferimento ad un cambiamento di regime in Libia. Alla domanda se si sta andando al di là della risoluzione dell'Onu in Libia, Longuet ha risposto: «Al di là della risoluzione 1973 certamente: essa non parla del futuro di Gheddafi». «Credo però - ha aggiunto Longuet - che sia importante per le Nazioni Unite il fatto che tre grandi Paesi dicano la stessa cosa e forse un giorno il Consiglio di sicurezza adotterà una risoluzione», il che richiederà un nuovo voto del Consiglio di Sicurezza.

Allarme bombe a grappolo e raid Nato
Paesi come Russia, Cina o Brasile - ha sottolineato ancora il ministro di Parigi - «saranno naturalmente recalcitranti. Ma quale grande Paese può riconoscere che un capo di Stato possa risolvere i suoi problemi sparando sul popolo?». Proprio oggi è scattato l'allarme bombe a grappolo: le forze fedeli a Gheddafi, che hanno circondato Misurata promettendo di smantellare la guerriglia che avversa il rais, ricorrono - ha scritto il New York Times - anche a questo devastante tipo di ordigni per prendere di mira i quartieri residenziali. Il segretario di stato americano, Hillary Rodham Clinton, ha detto parlando in conferenza stampa a Berlino di non essere a conoscenza dell'uso specifico di bombe a grappolo o armamenti pesanti a Misurata. Ma, ha aggiunto, «non mi sorprende nulla di quello che il colonnello Gheddafi e le sue forze fanno».

La Nato ha a sua volta compiuto numerosi raid aerei su Sirte, la città natale di Gheddafi. Raid degli «aggressori colonialisti crociati» hanno colpito Sirte, ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale libica, e incursioni aeree della Nato sono avvenute anche su Aziziya, a sud della capitale Tripoli. Intanto, sull'intervento in Libia, la comunità internazionale continua a non parlare con un'unica voce. Il governo italiano ha fatto sapere di non voler modificare la propria linea di condotta in Libia e ha ribadito il no ai bombardamenti: la Libia è una nostra ex colonia, c'è un legame tra il Paese nordafricano e l'Italia, e dunque gli aerei italiani non possono partecipare attivamente ai raid della Nato.

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