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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2011 alle ore 06:44.

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La sequela dei controlli da più enti è una spina diffusa, per piccole e grandi imprese, per Angelo Fantini, titolare di una falegnameria nel trevigiano (18 dipendenti), e per Emanuele Boccalatte, ad della Vesuvius Italia, consociata della Cookson, quotata a Londra.
Controlli certosini, attenti a conservare tutto
«I conti della società erano a posto, congrui e coerenti – spiega Maurizio Delsignore, uno dei tre soci della Tredi di Biella, piccola azienda che produce protesi per studi dentistici – ma gli ispettori del fisco, lo scorso anno, hanno cominciato a verificare i conti personali. Dal momento che non ritenevano giustificabili 9mila euro del conto di mia moglie hanno stabilito che erano il frutto di fondi nascosti e che la stessa cifra andava moltiplicata per il numero dei soci. I verificatori hanno poi contestato una spesa di 300 euro del 2006. Abbiamo impiegato parecchio tempo per trovare la ricevuta. Si trattava di spese condominiali».
Il contribuente trascinato alla sbarra
«Ormai da tempo ricevo controlli della Guardia di Finanza con cadenza annuale o anche più ravvicinata. Quanto chiedono informazioni ti trattano come un ladro, con la presunzione di colpevolezza. Un atteggiamento che avvilisce noi imprenditori». Piero Gai è ad del gruppo Ultraflex, 40 milioni di euro di fatturato, 220 dipendenti. Un gruppo composto da quattro aziende, il 60% concentrato sulla nautica da diporto e professionale, il 3% energie alternative, il resto automotive e accessori per l'edilizia. Più una realtà produttiva in Usa.
«Cosa si vuol chiedere di più a un gruppo che negli ultimi 10 anni ha avuto un tax rate medio dell'82%, mentre i nostri concorrenti tedeschi sono al 27 per cento? Imprese di dimensioni come la nostra in Liguria sono poche e ho notato che i controlli si concentrano su una fascia medio-grande. Questo – dice Gai – spiega perché molte imprese scelgono di avere la sede legale magari a Milano, dove il numero delle imprese è maggiore e si riducono le possibilità di avere accertamenti». L'ultima volta i controlli hanno impegnato tre persone dell'azienda, per oltre un mese. Costo dei dirigenti: 45mila euro ciascuno, più altri 30mila di consulenti.
La sbadataggine che
rovina la vita
L'errore di un funzionario può costare dieci anni di beghe e ansie. Il dottor Costantino è un dentista. Nel 2000 viene denunciato alla direzione provinciale del Lavoro da una collaboratrice che lavora nel suo studio come addetta alla poltrona. La contestazione: un contratto da co.co.co invece dell'inquadramento da dipendente. Gli ispettori le danno ragione, il verbale di accertamento viene spedito all'Inps, che chiede al dentista di pagare i contributi non versati, insieme con le sanzioni. Il ricorso, invece, dà ragione al dentista. La collaboratrice non si arrende e presenta una nuova denuncia all'Inps. Il funzionario dell'istituto, però, non si accorge del precedente e prepara una cartella di oltre 36mila euro. Siamo nel 2007, interviene Equitalia che pignora il conto corrente del professionista. La vicenda si chiude il 4 marzo 2010, con una sentenza definitiva: la cartella è annullata e l'Inps viene condannata a pagare le spese.

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