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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 14:06.

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Assedio dei pirati alle rotte del petrolio (AFP Photo)Assedio dei pirati alle rotte del petrolio (AFP Photo)

Pirati. Potrebbero nascondersi ovunque. Su quel peschereccio, a prima vista innocuo, che si staglia all'orizzonte. O molto più vicino, fingendosi contrabbandieri o trafficanti di clandestini su una di quelle veloci lance che infrangono le onde. In questo braccio di mare il traffico è intenso.

Dal ponte della nave, l'ufficiale che osserva il radar e punta il binocolo sugli oggetti in movimento, sa che i pirati potrebbero essere su ogni imbarcazione. Quando mostreranno le armi, sarà troppo tardi. Poco importa che la flotta internazionale contro la pirateria possa contare su circa 40 moderne navi da guerra. E che possa ricorrere, come ha già fatto, a elicotteri da combattimento e sofisticati sistemi di intercettazione. Per quanto impari sia la battaglia, sono i pirati somali, finora, ad aver avuto la meglio.

Lo sa bene il capitano Pottengal Mukundan, direttore dell'International Maritime Bureau (Imb), il centro che monitora 24 ore al giorno il fenomeno della pirateria. Al telefono da Londra la sua voce è rassegnata. «Lo ripeto: stiamo perdendo la guerra contro i pirati. Sono molto preoccupato: non abbiamo mai avuto un numero così alto di attacchi, di rapimenti e di uccisioni in tre soli mesi». L'ultimo rapporto dell'Imb è allarmante: 156 atti di pirateria da gennaio all'11 apirle 2011, di cui 107 al largo delle coste somale. Quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2010, che già aveva segnato un aumento verticale. Dati a cui vanno aggiunti gli ultimi abbordaggi. Tra cui quello della motonave Rosalia D'Amato - 256 metri di lunghezza e 74.500 tonnellate di stazza - attaccata dai pirati giovedì scorso, a 350 miglia a sud dell'Oman. Sotto l'occhio impotente di una nave da guerra, è entrata nelle ore scorse in acque somale. Intervenire sarebbe troppo rischioso; si metterebbe a rischio la vita degli ostaggi. Come è accaduto quando, nel blitz per liberare i quattro velisti americani rapiti il 17 febbraio, i marines trovarono gli ostaggi feriti mortalmente dai pirati (sono sette le persone uccise da gennaio a marzo).

I 22 uomini della Rosalia D'Amato, 5 italiani e 17 indiani, si aggiungeranno così all'esercito dei marinai sequestrati dai pirati somali. Da due anni le città costiere dello Stato Fantasma, in preda all'anarchia dal 1991 (anno della caduta del dittatore Siad Barre), si sono trasformate in una colossale fabbrica di sequestri. Nelle loro mani ci sarebbero ancora 532 ostaggi. Di questi, 307 sono stati presi nel primi tre mesi del 2010. Un'industria che non conosce crisi: nel 2006 (dati Imb) gli ostaggi furono 188 in tutto il mondo. Nel 2010 sono balzati a 1.181, la maggior parte in mano ai pirati somali.

Cosa fare? La rotta tra il canale di Suez e il Golfo di Aden è una delle principali arterie del commercio globale, percorsa ogni anno da 30mila navi. Un'irrinunciabile canale di approvvigionamento energetico per l'Europa. Pur di evitare i pirati, diversi equipaggi decisero di allungare il tragitto doppiando il capo di Buona Speranza. Ma oggi, con il barile sopra i 120 dollari, quest'operazione, oltre che tempi molto più lunghi, comporta costi molto più alti. E comunque sarebbe quasi inutile. Anno dopo anno i pirati somali hanno allargato il loro braccio d'azione. Prima sferravano gli attacchi a 200 km dalle loro coste nel Golfo di Aden. La concentrazione di navi militari (le missioni internazionali sono tre, oltre a iniziative unilaterali, tuttavia non ben coordinate) in quel braccio di mare li ha convinti a spingersi sempre più al largo. Fino a poche centinaia di miglia dalle coste indiane. Ora operano su un'area di 2,5 milioni di miglia nautiche quadrate dove transita gran parte del commercio di greggio che proviene dalla penisola arabica. «L'attacco più a sud - conferma Mukundan - è avvenuto dopo lo stretto del Mozambico, dove un peschereccio è stato attaccato e sequestrato. Se i pirati non saranno fermati con un'azione incisiva, è possibile che si spingano anche oltre». «L'area operativa dei pirati è così estesa che non basterebbero le Marine di tutto il mondo per fermarli», spiega al Sole 24 Ore Paolo d'Amico, presidente della Confederazione italiana armatori (Confitarma). Secondo Confitarma, ogni anno nell'Oceano Indiano ci sono quasi 2mila transiti di navi connessi a interessi nazionali. Di questi, circa 900 si riferiscono a navi di bandiera: una media di 3,3 unità italiane che ogni giorno si trovano nell'area a rischio pirateria.

L'audacia dei pirati va di pari passo con il miglioramento dei mezzi a loro disposizione. «Da alcuni mesi - continua Mukundan - usano come "navi madre" non solo pescherecci ma anche grandi cargo già sequestrati. Sono così in grado di attaccare una nave da diversi lati con 4-5 cinque imbarcazioni. E tornare alla base. Di recente su una di queste "basi mobili" c'erano 100 pirati». Come difendersi? «Occorre applicare - sottolinea Mukundan - la risoluzione Onu contro la pirateria: fermare le "navi madre" sospette in via preventiva. Usando la forza se necessario. Cosa che non tutte le navi militari fanno».

Sempre più Paesi hanno così permesso alle loro flotte commerciali di utilizzare personale armato a bordo. Siano soldati o contractors privati. Non l'Italia. «Il personale armato a bordo - precisa d'Amico - è il solo mezzo efficace per combattere la pirateria. Ormai quasi tutti i Paesi europei lo consentono. E i pirati lo sanno. Temo che le navi italiane siano nel loro mirino perché disarmate». «È da oltre un anno - aggiunge il presidente - che Confitarma ha chiesto al Governo di autorizzare personale armato a bordo, soldati o privati. Ci sono cinque disegni di legge. Capisco le crisi attuali, ma anche questa è un'emergenza». Così sentita che ieri Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti hanno proclamato lo stato di agitazione di tutti i marittimi «con possibilità di una grande mobilitazione nazionale» in «assenza di una rapida convocazione da parte del Governo». Qualcuno ha adottato misure drastiche. «Un grande peschereccio italiano ha cambiato bandiera scegliendo quella francese per essere protetto dai militari francesi a bordo», racconta d'Amico. «La petroliera Savina Caylyn, sequestrata l'8 febbraio, è ancora nelle mani dei pirati, quindi sono 43 i marittimi, di cui 11 italiani, imbarcati su unità italiane tenuti in ostaggio dai pirati». Ostaggi che saranno liberati dopo mesi di prigionia dietro il pagamento di un lauto riscatto.

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