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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 19:19.

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Militari tailandesi si spostano per rinforzare il confine con la Cambogia dopo uno scontro ai confini del ditretto di Phanom Dong Rak (Epa)Militari tailandesi si spostano per rinforzare il confine con la Cambogia dopo uno scontro ai confini del ditretto di Phanom Dong Rak (Epa)

La paura di una tigre saming, un essere che non è né uomo né tigre ma qualcosa di mezzo, o di un phii phrai, un fantasma vendicatore, uno spirito psicopatico che non ha pace finché non elimina i suoi nemici, o di un taharn phee, un soldato fantasma, reso invisibile da tatuaggi magici. Potrebbe essere questa paura che ha fatto sparare il colpo che all'alba di venerdì 23 ha riacceso gli scontri al confine thai-cambogiano.

L'ennesima battaglia nel conflitto non dichiarato per la sovranità sui 4.6 chilometri quadrati attorno al millenario tempio di Preah Vihear, si è protratta per una settimana chiudendosi la sera di venerdì 29 con una fragilissima tregua e un bilancio di 16 morti, un centinaio di feriti e circa 58.000 persone evacuate dai loro villaggi.

Questa volta, però, si è rischiato davvero, come ha dichiarato un portavoce del governo cambogiano, che la guerra fosse ufficialmente dichiarata. L'escalation del confronto da entrambe le parti ha portato alla mobilitazione di decine di migliaia di soldati, l'impiego di artiglieria pesante, elicotteri e, a quanto sembra, anche degli F16 dall'aviazione thai. Secondo i cambogiani, poi, i thai avrebbero fatto uso di bombe a grappolo e armi chimiche non letali per stordire i loro soldati. I thai, invece, accusano gli avversari di aver dispiegato scudi umani attorno alle loro postazioni. Si è esteso anche il fronte, lungo una line di circa 200 chilometri sulla fascia ovest del confine, tra i crinali di foresta delle montagne Dangrek, santuario di templi e rovine coperte da immagini minacciose delle divinità hindo-buddhiste, e disseminate dalle mine dei khmer rossi prima e degli eserciti che vi si fronteggiano poi. Quell'area, contesa da cinquant'anni, è lo scenario perfetto per scatenare le paure dei soldati, soprattutto thai: in Thailandia, il mondo del saiyasat, il soprannaturale, è profondamente radicato nell'inconscio collettivo, e i khmer, i cambogiani, sono ritenuti praticanti del lato oscuro dei saiyasat. Sembra di essere sul set di un film di Apichatpong Weerasethakul, il regista vincitore del 63° Festival di Cannes con "Lo zio Boonmee che può richiamare le sue precedenti vite", storia di un ex militare che sconta le azioni compiute in questa o nelle precedenti vite.

Oltre i motivi esoterici – che qui non sono marginali: Pasuk Phongpaichit e Chris Baker, due dei maggiori esperti di cultura thai contemporanea, hanno scritto un saggio sul tema, "The Spirits, the Stars, and Thai Politics" - quella foresta che adesso gronda delle prime piogge, dove ogni ombra può celare un nemico ed è difficile distinguere tra i preta, i fantasmi, e i nimitti, le allucinazioni, potrebbe davvero essere la spiegazione più plausibile degli scontri. Lo ha dichiarato lo stesso primo ministro thai, Abhisit Vejjajiva. La sua teoria, anche per raffreddare le reciproche accuse su chi sia stato a sparare il primo colpo, è che la vicinanza degli schieramenti lungo un confine tanto conteso quanto indeterminato possa essere stata il detonatore degli scontri.

Gli spiriti o la vicinanza dei soldati, però, non bastano a giustificare una crisi che rischia di determinare un effetto domino in tutto il sud-est asiatico. Le paure potrebbero essere altre. Per una bizzarra coincidenza, la sera di giovedì 22, in Thailandia si è diffusa la voce di un ennesimo colpo di stato, quello che sarebbe stato il diciannovesimo a partire dagli anni ‘30 (il più recente è del 2006). All'origine delle voci, risultate infondate o anticipate, un'altra serie di coincidenze. L'elemento scatenante è stato il black-out delle trasmissioni della Thaicom, poi giustificate con un'anomalia del satellite. Ma ciò che ha alimentato lo psicodramma nazionale sono state le precedenti dichiarazioni dei leader dell'opposizione thai, le cosiddette "camicie rosse", seguaci dell'ex premier Thaksin, deposto dal golpe del 2006. Secondo loro, il ministro della difesa Prawit Wongsuwon e il generale Dapong Rattanasuwan, uno degli strateghi della repressione del maggio scorso per disperdere le manifestazioni dei "rossi", avrebbero ordito un complotto per impedire le elezioni previste nei prossimi mesi. A rafforzare il sospetto, ci sarebbe il fatto che il generale Dapong è uno degli uomini di fiducia del capo di stato maggiore thai, il generale Prayuth Chan-ocha, strenuo difensore dell'ordine costituito. Come se tutto ciò non bastasse, quello stesso giorno, 1600 soldati della seconda divisione di fanteria, le "Tigri dell'Est", hanno partecipato a un'esercitazione con carri armati e mezzi d'artiglieria per dimostrare la loro capacità di mobilitazione in caso di un attacco ai confini nazionali. Secondo alcuni, però, sarebbe stata anche una parata in solidarietà del generale Prayuth, in questo periodo al centro di feroci polemiche per aver accusato di lesa maestà alcuni leader "rossi".

Il colpo di stato non c'è stato: le trasmissioni tv sono riprese con i consueti varietà e i carri armati non hanno turbato l'ordinaria follia delle notti di Bangkok. Quella stessa notte, la telefonata di una fonte molto vicina agli ambienti militari, però, ha riacceso qualche sospetto, affermando che si sarebbe trattato di "prove tecniche di colpo di stato". Un ossimoro concettuale, poiché la tecnica del golpe esige che sia segreto e improvviso. Ma non secondo i tortuosi percorsi della logica asiatica, che non procede in modo lineare bensì tende a comporre una rete. In questo caso, infatti, il golpe si potrebbe materializzare in forma diversa. Com'è stato osservato da Pavin Chachavalpongpun, studioso di Affari Politici e Strategici all'Institute of Southeast Asian Studies (ISEAS) di Singapore, gli scontri al confine «hanno offerto ai militari thai un'ottima opportunità di prendere il controllo della politica estera». Ed è per questo motivo che si oppongono fermamente alla proposta dell'Asean di osservatori internazionali: rappresenterebbero un limite a tale controllo. «In tempi di crisi la nazione ha bisogno di un esercito forte» e per essere tale l'esercito non può essere né distratto né condizionato da elezioni dall'esito incerto che potrebbero innescare disordini e tensioni. A ribadire il concetto martedì 26 si è svolta a Bangkok un'altra parata militare per dimostrare la preparazione al combattimento della seconda divisione di cavalleria e il sostegno dei soldati al generale Prayuth Chan-ocha. «Siamo pronti a eseguire tutti gli ordini del capo delle forze armate: che sia per difendere la monarchia e la sovranità nazionale o per operazioni di sicurezza» ha dichiarato il loro comandante, il maggior generale Surasak Boonsiri.

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