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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2011 alle ore 13:56.

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Egitto, oggi un milione in piazza Tahrir per chiedere pace e lavoro (AP Photo/Amr Nabil)Egitto, oggi un milione in piazza Tahrir per chiedere pace e lavoro (AP Photo/Amr Nabil)

IL CAIRO - Ancora una volta la città scende nella sua piazza più famosa. E anche questa volta al Tahrir si riempirà per una causa giusta. Era stato per la democrazia dalla fine di gennaio e per una ventina di giorni, fino a che il regime trentennale di Hosni Mubarak non era caduto; era successo di nuovo nei mesi successivi per ottenere che i responsabili venissero chiamati a rispondere del fallimento politico e sociale del regime.

Oggi sarà per "l'unità nazionale": almeno un milione di persone – questo si aspettano gli organizzatori – scenderanno in piazza al Tahrir per mostrare che l'Egitto non è quello dello scontro settario tra musulmani e copti ma una democrazia multi religiosa e laica.

Vuole essere un segnale forte, una risposta al massacro e alla distruzione della chiesa del quartiere di Imbaba, sabato scorso. Non è forse una lodevole mobilitazione? È innegabile. Tuttavia, di sciopero in sciopero, di manifestazione in manifestazione, l'economia egiziana affonda lentamente come un vecchio transatlantico.

E se nessuno lo ferma, rischia di portare con se la grande speranza di libertà nata in piazza al Tahrir. Samir Radwan, il nuovo ministro delle Finanze chiamato a tentare un miracolo, ha appena offerto i dati della crisi proprio mentre la piazza ricominciava a riempirsi. Sono 2,2 miliardi di dollari le perdite del settore turistico che fino all'anno scorso garantiva più del 5% del Pil. Un altro miliardo e 300 milioni è stato causato dal calo della produttività. Fanno 3,5 miliardi di dollari.

Ma non è tutto. Fino a ieri gli economisti prevedevano pesanti perdite in tutti i settori. Ora le cose sono più chiare. Secondo il ministero delle Finanze in quattro mesi le esportazioni sono calate del 40%; l'industria manifatturiera ha ridotto del 50 le sue capacità; i risultati del primo quarto dell'anno di tutte le banche, sono sconfortanti: l'operatività cala dal 50 al 60%.

Proteste e scioperi sono "le principali cause" della crescita del deficit di bilancio, precisa il ministero. Ma è anche cresciuta l'insicurezza. Nei quartieri dell'immensa periferia del Cairo gli attriti quotidiani fra musulmani e copti aumentano nonostante le manifestazioni di solidarietà; in città accadono cose fino a ieri inusitate come le rapine ai portavalori. La polizia ha chiesto l'assunzione e l'addestramento immediati di 100mila nuove reclute. Il Governo ha fatto due conti e ne ha concessi 15mila. Cresce intanto il costo della vita. Ad aprile l'inflazione è salita al 12,1% a causa dell'aumento dei prezzi degli alimentari (21% su base annua). Metà dei consumi egiziani sono importati. Era stata questa la scintilla delle prime proteste contro Hosni Mubarak, all'inizio di gennaio, e ora il problema si fa ancora più difficile col primo governo democratico dalla rivoluzione nasseriana del 1952.

Il vero prezzo economico della libertà non è ancora stati rigorosamente calcolato dagli economisti. Ma il ministero delle Finanze non sbaglia di molto quando propone un costo complessivo fra i 12 e i 15 miliardi di dollari. Il "calendario della democrazia" è già stato fissato: mese di Ramadan ad agosto, poi da settembre campagna elettorale; elezioni parlamentari alla fine di quel mese e presidenziali entro la fine dell'anno. Ma le forze armate incominciano già a mettere le mani avanti: in queste condizioni di instabilità e di insicurezza, suggeriscono, il processo elettorale potrebbe essere rinviato.

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