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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2011 alle ore 07:47.

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Risolvere il problema Strauss-Kahn «nel più breve tempo possibile». Così in serata il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, a riprova del fatto che è sempre più alta la pressione internazionale per le dimissioni del direttore del Fmi travolto da uno scandalo sessuale e in carcere a New York. In ogni caso, ha aggiunto Barroso, «se la successione alla direzione del'Fmi si renderà necessaria i Paesi europei dovranno presentare un candidato». Secondo Barroso l'Europa ha più di un potenziale candidato e la questione deve essere affrontata il prima possibile. Da quando esiste l'Fmi, dopo la seconda Guerra Mondiale, il direttore generale è sempre stato un europeo ma ultimamente la Cina e gli altri paesi emergenti hanno aumentato la loro influenza e ora vogliono più potere.

Sale anche da parte europea la pressione su Dominique Strauss-Kahn perché si dimetta al più presto dalla direzione del Fondo monetario, dopo il suo arresto sabato scorso a New York per l'accusa di violenza sessuale a una cameriera dell'hotel dove alloggiava. L'Europa è però compatta nel chiedere che la poltrona di numero uno sia assegnata ancora una volta a un europeo, come è sempre avvenuto negli oltre sessant'anni di vita dell'Fmi, giustificando in questo caso la richiesta con la necessità di insediare qualcuno che abbia conoscenza diretta della crisi che ha investito la periferia dell'area euro e altre economie del Vecchio continente.

«La posizione di Strauss-Kahn è ormai insostenibile - diceva ieri una fonte vicina al Fondo - e gli europei sanno che il più rapidamente si procede alla sua sostituzione, maggiori sono le possibilità di far passare uno dei loro e mantenere lo status quo». Dalla riunione dell'Ecofin di Bruxelles, l'unica voce a difesa della posizione di Dsk è stata quella di Jean-Claude Juncker, il ministro lussemburghese presidente dell'Eurogruppo, secondo cui è «indecente» che si parli dell'avvicendamento del capo dell'Fmi prima che ne sia provata la colpevolezza. Il ministro austriaco Maria Fektel ha sottolineato però che Strauss-Kahn dovrebbe pensare ai danni che può provocare, con la sua permanenza, all'istituzione che dirige. E la spagnola Elena Salgado ha detto che, se i fatti saranno provati, la sua solidarietà va alla vittima dell'aggressione, e che tocca allo stesso Dsk decidere sulle proprie dimissioni, considerata la gravità delle accuse. Non è probabilmente un caso che, data la natura dello scandalo, le due voci più critiche nei confronti del capo dell'Fmi siano state quelle di due donne.

Mentre in Francia tiene banco la discussione sull'ipotesi di un complotto ai danni di Dsk, legata alla sua candidatura per le presidenziali del 2012, a far propendere anche gli europei per una sua rapida uscita di scena sarebbe stato fra l'altro il rifiuto del giudice di New York di concedergli la libertà provvisoria e la decisione di mantenerlo in carcere fino a venerdì, prolungando presumibilmente per settimane l'incertezza sulla colpevolezza. Dall'Fmi, intanto, un portavoce ha ribadito che l'immunità non si applica a questo caso.

L'Europa appare comunque determinata a conservare la direzione del Fondo. Alle dichiarazioni del cancelliere tedesco Angela Merkel di lunedì, si sono aggiunte quelle dei ministri di Belgio, Olanda, Svezia, Ungheria e Irlanda. In ambienti della diplomazia economica internazionale si sta facendo strada l'idea che una forte azione europea, con l'avallo degli Stati Uniti e la presentazione in tempi brevi di un candidato forte (il nome più ricorrente resta quello del ministro francese Christine Lagarde), possa ottenere il risultato. L'Europa a 27 controlla tuttora il 30% circa dei diritti di voto all'Fmi, gli Usa con il 17% hanno di fatto il potere di veto su ogni decisione importante (la maggioranza richiesta è dell'85 per cento).
L'iniziativa europea dovrà confrontarsi però seriamente, per la prima volta, con le aspettative dei Paesi emergenti, che hanno acquisito peso nell'economia mondiale e, seppure marginalmente, nelle quote dell'Fmi.

Una fonte brasiliana ha ammesso ieri che difficilmente il posto potrà essere tolto all'Europa in questa occasione. La Cina, che sarà a partire dal 2012 il terzo azionista dell'Fmi e che fa sentire sempre più spesso la sua voce nelle questioni economiche globali, ha puntualizzato ieri che il processo per la nomina dev'essere «corretto, transparente e basato sul merito», ripetendo parola per parola l'impegno preso dal G-20 a operare la futura scelta non più sulla base del passaporto. È possibile, secondo diverse fonti, che gli emergenti continuino a esercitare pressione per ottenere la guida del Fondo e presentino un loro candidato, ma che si accontentino in questa occasione di ottenere il posto di numero 2, che verrà lasciato libero, una volta definita la successione, dall'americano John Lipsky. Questi ha assunto per ora la guida dell'istituzione, ma aveva già annunciato di voler lasciare a fine agosto. Uno dei possibili candidati, il gestore di fondi obbligazionari Mohamed El-Erian, franco-egiziano, ha dichiarato di non essere disponibile e ha definito il metodo di scelta finora adottato «feudale».

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