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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2011 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 18 maggio 2011 alle ore 07:47.

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di Luigi Zingales

Uno degli aspetti più interessanti nel crescere i propri figli in un Paese diverso da quello di origine consiste nello scoprire i diversi valori che vengono insegnati a scuola. La scuola non è solo il luogo di apprendimento di nozioni, ma anche (insieme alla famiglia) il principale meccanismo con cui una società trasmette i suoi valori ai propri figli.
In Italia uno dei valori che mi fu instillato, tanto a scuola quanto in famiglia, fu l'obbedienza all'autorità.

Anche quando l'autorità sbagliava (o io ritenevo che sbagliasse), andava obbedita. Sebbene nessuno ti dicesse mai che anche i soprusi dell'autorità dovevano essere accettati, questa ne era logica conseguenza in un sistema che scaricava interamente l'onere della prova sullo studente. Uno studente che chiedeva conto a un maestro o a un professore delle sue azioni doveva essere sicuro, oltre ogni limite, della giustezza delle proprie ragioni perché se si sbagliava era immediatamente bollato come arrogante e irriverente e, spesso, punito.

Prima di sfidare l'autorità, dovevamo chiederci «ma sei proprio sicuro?». Questo eccesso di zelo si trasformava spesso in sudditanza. Negli Stati Uniti ai miei figli viene insegnato il diritto-dovere di stand up speak out, letteralmente di alzarsi in piedi e alzare la voce per segnalare possibili errori: non solo dei compagni di scuola, ma anche dei professori. Questo non significa insubordinazione, ma diritto di chiedere conto anche ai propri superiori delle loro azioni.

Quando poi lo studente sbaglia a protestare, non viene punito, perché è un suo diritto chiedere conto delle azioni del suo superiore. Anzi, viene ringraziato per avere data un'opportunità al superiore di spiegare le proprie ragioni. Probabilmente questo valore deriva dal retaggio della storia americana. I coloni ebbero il coraggio di stand up ai sovrani inglesi e fondarono una nazione in cui nessuno era al disopra della legge. È la differenza tra chi si sente suddito (che viene da sottoposto) e chi si sente cittadino. Questo valore permea la società americana. Chiunque ha il diritto/dovere di denunciare qualsiasi sopruso, anche quando questo sopruso è fatto dall'uomo più potente della terra. È solo così che si può spiegare il Watergate. È solo così che si può spiegare come la denuncia di un'immigrata di colore possa, in poche ore, trascinare in carcere uno degli uomini più potenti della terra: il direttore del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn.

Perché questo è l'aspetto più sorprendente di una vicenda altresì squallida. Alle 12,30 la vittima chiama la polizia. Alle 16,40 la polizia di New York, sulla base della testimonianza della donna, arresta in modo plateale il direttore dell'Fmi. Vi immaginate cosa sarebbe successo nel paese di don Abbondio? Innanzitutto si sarebbe subito dubitato della testimonianza della donna: «Ma sei proprio sicura? Non hai frainteso delle timide avances? Era proprio lui?». Poi la si sarebbe fatta sentire in colpa: «Perché non ti sei accertata che non ci fosse nessuno in stanza prima di entrare? Perché hai violato le regole dell'albergo?». Infine si sarebbe passati al linciaggio morale: «Cosa hai fatto per provocarlo? Che tipo di donna sei?» Risultato: la maggior parte delle donne preferisce non denunciare le violenze subite.

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