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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:10.

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Nei paesi in rivolta l'Italia si gioca oltre 26 miliardiNei paesi in rivolta l'Italia si gioca oltre 26 miliardi

Se non fosse per il Marocco e l'Algeria, quest'ultima apparentemente stabile dopo le gravi manifestazioni di febbraio, sembrerebbe che le rivolte arabe siano scoppiate là dove gli interessi commerciali italiani sono tradizionalmente più forti. Grazie a un'invidiabile posizione geografica, le imprese italiane rappresentano un interlocutore commerciale di primo piano per i Paesi del Nord Africa, ma anche per la Siria. Sommando i dati dell'interscambio con i quattro Paesi colpiti dalle rivolte – Siria, Tunisia, Libia e Egitto – si arriva nel 2010 a una somma ingente: oltre 26 miliardi di euro.

Certo l'import energetico è un dato ingombrante. Dall'altronde la Libia è il nostro primo fornitore di greggio e il quarto di gas naturale. Nel 2010 l'export italiano verso questi quattro Paesi comunque è stato complessivamente di oltre 10 miliardi di euro (+23% sul 2009). E ora? Se in alcuni Paesi il danno non sembra finora drammatico - ma si potrà quantificare solo tra diversi mesi - un effetto negativo comunque c'è. Gli ultimi dati diffusi dall'Istat segnalano che l'unica area del mondo dove l'export italiano ha registrato una flessione da gennaio ad aprile 2011 è l'Africa settentrionale: -10 per cento.

Tunisia

Il Paese da cui è partita la rivolta dei Gelsomini, culminata il 14 gennaio con la fuga del presidente Ben Ali, attraversa tuttora un periodo di incertezza politica. Nel 2010 l'Italia è stata il secondo partner commerciale, dietro la Francia. «La Tunisia - spiega Cecilia Oliva, dirigente dell'Istituto per il commercio estero in Tunisia - dipende dal turismo e dagli investimenti esteri. Tutto ciò ridurrà sicuramente la crescita e diminuirà la creazione di posti di lavoro. Quasi tutte le aziende italiane sono rientrate e hanno ripreso l'attività». Ma non è il presente a preoccupare, quanto il futuro.

«Un calo dell'export e dell'import tunisino c'è stato nei primi quattro mesi del 2011 - precisa il direttore dell'Ice - ma a causa dell'effetto dell'aumento generalizzato dei prezzi, abbiamo registrato una crescita in valore, che ha coinvolto anche l'interscambio italiano». La grande incognita è cosa accadrà dopo le elezioni di luglio, sempre che non siano rinviate.

Egitto
Il voto di autunno è la spada di Damocle che pende sul più popoloso paese del mondo arabo. La rivoluzione scoppiata il 25 gennaio, e culminata l'11 febbraio con le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, al potere dal 1981, è già costata tanto all'economia. Soprattutto al turismo, quasi paralizzato. «Occorre seguire una logica diversa - racconta Giuseppe Federico, direttore dell'Ice per l'Egitto - perché qui gli affari si continuano a fare nonostante l'incertezza per il futuro». L'Italia gioca un ruolo di primo piano: con un interscambio nel 2010 di quasi 5 miliardi di euro, di cui quasi 3 di export. Un bel salto rispetto ai 2,1 del 2006 (1,1 di export). Per quanto si sia trattato di un boom senza benessere, la crescita dell'Egitto è stata travolgente.

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