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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:10.
«L'interscambio dell'Egitto, un Paese industrializzato dove si produce di tutto, con il resto del mondo - precisa Federico - era di 34 miliardi nel 2006. Nel 2010 ha superato quota 80». E ora? «Quasi tutti gli impenditori italiani sono rientrati. Certo alla rivolta sono seguite proteste per aumenti salariali nel settore privato. Ma il costo del lavoro resterebbe contenuto». La grande incognita sono i nuovi investimenti, penalizzati dall'attuale crisi economica. Il gigante arabo resta in bilico, almeno fino al prossimo voto.
Libia
Il regno del colonnello Muammar Gheddafi, al potere dal 1969, è dilaniato da una violenta guerra civile. L'Italia è uno dei principali partner commerciali. Nel 2010 - scrive un rapporto Sace - l'export italiano è salito a 2,7 miliardi di euro (+11% rispetto al 2009). L'import, (quasi tutto greggio e gas) è balzato a 12 miliardi. Nessuno è in grado di quantificare il danno alle imprese italiane. Tutto è fermo. «Impossibile - ci spiega l'avvocato Antonio de Capoa, presidente della Camera di commercio Italo-Libica – si potrà valutare solo alla fine del conflitto. Ma non vedo ragioni per cui, al pari degli altri Paesi, i contratti firmati da importanti società, anche statali, non debbano essere ratificati».
«Prima dei disordini - continua de Capoa – potevamo stimare 400-500 aziende italiane attive in Libia. Ma il numero reale è sicuramente maggiore. Non tutte le società si sono registrate presso di noi. Difficile anche quantificare i dati sull'export. Non è escluso che diverse merci italiane siano passate da altri Paesi». Al di là del settore energetico, aggiunge de Capoa, «rispetto ad altri Paesi la presenza italiana è partita in ritardo, negli anni 2007-2008, nei quali si è registrato un boom. La Libia è un Paese molto importante: grazie al suo ruolo di donatore verso diversi Paesi africani e alla sua posizione geografica, è la porta di ingresso per l'Africa, un mercato che negli ultimi anni viaggia a tassi di crescita del 5% annuo. Il business della ricostruzione offrirà nuove opportunità».
Siria
Di tutte le rivolte è quella di cui si sa meno (ieri le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla che manifestava contro il regime a Saqba, alla periferia di Damasco, facendo dei feriti; lo stesso è accaduto a Homs: in questo caso ci sono stati almeno sei morti). Eppure è quella che da un punto di vista geopolitico più interessa gli equilibri del Medio Oriente. Dal 2005 al 2010 la Siria ha assistito a una decisa espansione economica (con una crescita media del 5%), compiendo passi avanti sul piano delle riforme economiche. «È innegabile una netta flessione dei consumi», spiega Sebastiano Del Monte, direttore Ice per Siria e Libano.
Tra i settori più colpiti ci sono senza dubbio il turismo e l'immobiliare. «Una contrazione - aggiunge Del Monte - ci sarà. Ma bisogna essere pronti a ripartire: nel 2010 il valore dell'interscambio dell'Italia verso la Siria è stato di 2,3 miliardi di euro, registrando un aumento del 102,7% rispetto al 2009. Il saldo è a nostro favore, e nei primi due mesi abbiamo riscontrato dati positivi. La Siria rappresenta una grande opportunità», conclude Del Monte. Ma l'aria che tira, per il momento, non è delle migliori.