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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 08:11.

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MILANO
«Tonino, io sono commosso, io ti ringrazio... ho la pelle d'oca... io, guarda, Tonino, ti darei un bacio sulla fronte». È la mezzanotte del 12 luglio 2005, quando il telefono dell'amministratore delegato della Banca popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani, squilla improvvisamente. «Ti ho svegliato?», gli chiede Tonino. «No, no...», risponde Fiorani. «Vabbene, ho appena messo la firma», annuncia l'uomo dall'altra parte del ricevitore.
Tonino è il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, e quella è l'estate dei "furbetti del quartierino", dei Ricucci, dei Coppola, dei Consorte e degli Gnutti, l'estate delle scalate bancarie truccate e di un arbitro che piega le regole a sua discrezione.
La conversazione tra Fazio e Fiorani finisce nei brogliacci degli investigatori che indagano sulle manovre dell'amministratore delegato della Bpl per conquistare l'Antonveneta. Sono passati sei anni da quando l'(ormai ex) governatore di Bankitalia annuncia al banchiere di Lodi di aver firmato il via libera all'opa che strappa Antonveneta agli olandesi di Abn Amro, e ieri – a quasi due anni e mezzo dall'inizio del processo – il tribunale di Milano ha presentato il conto ai "furbetti del quartierino". Un conto salato. Soprattutto per l'ex governatore di Bankitalia, imputato per aggiotaggio: quattro anni di reclusione, un milione e mezzo di euro di multa, l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e per due dalla professione, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, oltre all'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Per Fazio la pubblica accusa, rappresentata dai sostituti procuratori Eugenio Fusco e Gaetano Ruta, aveva chiesto la condanna a tre anni di reclusione e la multa di 100mila euro. Ma i giudici della seconda sezione penale, presieduta da Gabriella Manfrin, hanno evidentemente ritenuto ben più gravi le responsabilità dell'ex governatore.
Sarà interessante leggere le motivazioni della sentenza. Anche perché il secondo imputato targato Banca d'Italia, l'allora responsabile della vigilanza di palazzo Koch, Francesco Frasca, è stato prosciolto da ogni accusa. Un'assoluzione frutto non solo del corretto atteggiamento tenuto da Frasca, sempre presente nel corso del processo, ma più probabilmente scaturita dalle valutazioni del tribunale sulle ripartizioni di responsabilità dell'ex numero uno della banca centrale e del suo alto dirigente. Alla fine dell'udienza, Roberto Borgogno, il legale che ha assistito entrambi gli uomini di Bankitalia, esprime sentimenti contrastati: «Alla soddisfazione per l'assoluzione di Frasca, si accoppia l'amarezza per la constatazione che giustizia è stata fatta solo a metà. Il processo non offre elementi per distinguere le due posizioni», afferma lasciando intuire che ricorrerà in appello. E Fazio affida al suo legale le prime valutazioni: «Sono sicuro di avere sempre operato per il bene e sono convinto che questa sentenza vada riformata», lascia trapelare l'ex governatore. Dal canto suo Banca d'Italia, che si è costituita parte civile, ha ottenuto un risarcimento di 400mila euro. Altri 450mila sono stati riconosciuti alla Consob.

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