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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2011 alle ore 13:58.

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Doveva essere il giorno dell'addio e così è stato anche se non farà mancare il suo appoggio alla maggioranza. Ma intanto Gianfranco Miccichè, classe 1954, sottosegretario palermitano e leader di Forza del sud, lascia Silvio Berlusconi e il Pdl per traslocare armi e bagagli nel gruppo misto con con una quindicina di parlamentari. A nulla dunque è valso l'incontro riparatore di oggi pomeriggio con il premier a Palazzo Grazioli da dove il sottosegretario è uscito annunciando il divorzio. «Dobbiamo poter incidere e condizionare - spiega - le scelte del Governo e della maggioranza come la Lega».

Miccichè: il mio incarico è nelle mani di Berlusconi
Eccolo qui il chiodo fisso di Miccichè: l'eccessivo sbilanciamento al Nord della coalizione con, annessa, l'arrendevolezza del premier verso Umberto Bossi. Così, dopo l'annuncio dello spostamento al Nord di alcuni uffici ministeriali, ultimo pegno pagato dal Cavaliere al Senatur, a Miccichè sono saltati definitivamente i nervi. Perché il sottosegretario -non si ancora per quanto, «il mio incarico al governo è nelle mani di Berlusconi», ha detto al termine dell'incontro odierno - è uomo sanguigno che non ama le mezze misure. Di Ignazio La Russa, collega del Pdl, si lasciò scappare che «è volgare e violento. Un fascista autentico». Salvo poi recapitargli le sue scuse. E non fu certo più tenero poi con il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, con cui ha vissuto alti e bassi politici. «Lombardo è psichiatra. Ma dovrebbe andarci lui dallo psichiatra. Pensa sempre che qualcuno voglia ucciderlo, prima l'Udc, poi il Pdl, ora io».

Altri parlamentari sono pronti a seguirlo nel gruppo misto
Quel che è certo è che lui rischia ora di uccidere la maggioranza. Della partita saranno forse alcuni esponenti di Noi Sud (Arturo Iannaccone, Elio Belcastro e Americo Porfidia), ma al suo progetto guardano con attenzione anche da Fli (Adolfo Urso e Andrea Ronchi, su tutti) e perfino dal Pdl. Dove le ministre Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna non hanno mai fatto mistero delle loro simpatie per il sottosegretario. Che, appena qualche mese fa, aveva lanciato al premier il seguente avvertimento. «Silvio, ti voglio un bene bestiale, ma la nostra fedeltà non è infinita. Mettici nelle condizioni di stare con te o saremo contro di te».

Da Publitalia al cappotto elettorale del 2001
Del Cavaliere Gianfranco è stato uno dei collaboratori più fidati. Passato da Lotta Continua a Publitalia grazie al sodalizio con Marcello Dell'Utri, che lo portò nell'azienda del premier dove divenne direttore della sede di Palermo e poi di Brescia. Da qui il salto nella politica: nel 1993 Berlusconi in persona gli affidò la missione di creare Forza Italia in Sicilia. Poi l'ingresso alla Camera nel '94 e la poltrona di sottosegretario ai Trasporti nel primo governo Berlusconi, che lo avrebbe poi promosso viceministro dell'Economia e titolare del dicastero dello sviluppo e della coesione territoriale. Fiducia ripagata con il "cappotto" del 2001 quando l'allora Casa delle Libertà sbaragliò l'opposizione alle politiche in tutti i 61 collegi della Sicilia.

Qualche ombra nell'ascesa del sottosegretario
Insomma, un'ascesa continua, interrotta solo da qualche ombra: la sconfitta alle amministrative del '97 (quando Leoluca Orlando gli soffiò la poltrona di sindaco di Palermo) e un passato in cui è stato «assuntore di cocaina» (come si definì lui stesso dopo essere stato tirato in ballo, quando era ancora in Publitalia, in un'inchiesta sul traffico di stupefacenti a Palermo. E il suo nome tornò anche nel 2002 in un'altra indagine romana sul traffico di droga destinata ai vip). «Consumare droga - ammise in un'intervista di qualche mese fa - fu un'assoluta merdata, ho sbagliato». Sempre schietto, dunque, anche a costo di sollevare polemiche. Come nell'ottobre del 2007, davanti all'intitolazione dell'aeroporto di Palermo ai giudici Falcone e Borsellino. «Che immagine negativa - disse - trasmettiamo subito col nome dell'aeroporto». Poi quando la sorella del magistrato ucciso dalla mafia, Maria Falcone, gli fece notare con fermezza che l'aeroporto non era dedicato a Riina e Provenzano, «ma a due eroi italiani che credevano nel riscatto della nostra terra», Miccichè si scusò per la «frase infelice» dopo critiche feroci e la richiesta di dimissioni dall'Ars.

Il rimbrotto del premier sulle cravatte arancioni
Lui, però, ha tirato dritto capitalizzando il suo consenso per far nascere il suo partito. «Credo che i terroni siano meglio dei polentoni - annunciò in un teatro stracolmo il 31 ottobre scorso, nel giorno del battesimo della sua nuova creatura -. Noi abbiamo dietro la Magna Grecia, loro gli Unni. Loro hanno le paludi nebbiose, noi il sole e i colori». Che ama al punto che, per lanciare la sua Forza del Sud, ha scelto un arancione sgargiante tanto da meritarsi perfino il rimbrotto bonario del Cavaliere quando con la sua pattuglia di parlamentari si presentò a palazzo Grazioli con pochette e cravatte arancio. «Ma che cravatte vi siete messi?», fu l'esordio del premier più incline ai toni scuri. Ma Miccicchè è così: sempre controcorrente, perfino negli accostamenti.

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