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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2011 alle ore 10:25.

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Il 42% dei giovani (25-34 anni) lavoratori dipendenti di oggi andrà in pensione intorno al 2050 con meno di mille euro al mese. È quanto emerge dai risultati del primo anno di lavoro del progetto "Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali" di Censis e Unipol. Che spiega che attualmente i dipendenti in questa fascia di età che guadagnano una cifra inferiore a mille euro sono il 31,9 per cento. Molti, quindi, si troveranno ad avere dalla pensione pubblica un reddito addirittura più basso di quello che avevano a inizio carriera. E la previsione, spiega la relazione, riguarda i più «fortunati», cioè i 4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard: poi ci sono un milione di giovani autonomi o con contratti atipici e 2 milioni di giovani che non studiano né lavorano.

Sacconi: pronti a modifiche sulle pensioni
Sulla norma relativa alla rivalutazione parziale delle pensioni, inserita nella manovra, «siamo pronti a modifiche». Lo ha assicurato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Siamo apertissimi a discuterne, come abbiamo detto da subito». A margine del convegno il ministro si è detto favorevole a modifiche sull'indicizzazione delle pensioni. «Non dimentichiamo che le fasce più basse hanno un'indicizzazione al 100%: si tratta di guardare alle fasce medie e alte. Siamo pronti a modifiche, ma non dimentichiamo che norme di questo tipo sono state fatte da tutti i governi di centrosinistra, quindi eviterei qualsiasi polemica ideologica a questo proposito». Critica l'analisi del Censis il ministro del Welfare. «Non si possono divinare i percorsi lavorativi: credo che neanche una zingara sarebbe in grado di disegnare una proiezione di questo tipo». Il ministro ha anche annunciato una convocazione, a breve, delle parti sociali per un rilancio delle pensioni integrative e una grande campagna di adesione.

Troppi pensionati e pochi lavoratori attivi
Nel 2030, ricorda il report, gli anziani over 64 anni saranno più del 26% della popolazione totale: ci saranno 4 milioni di persone non attive in più e 2 milioni di attivi in meno. Il sistema pensionistico, dunque, dovrà confrontarsi con seri problemi di compatibilità ed equità. Se le riforme delle pensioni degli anni '90 hanno garantito la sostenibilità finanziaria a medio termine del sistema, oggi preoccupa il costo sociale della riduzione delle tutele per le generazioni future. A fronte di un tasso di sostituzione del 72,7% calcolato per il 2010, nel 2040 i lavoratori dipendenti beneficeranno di una pensione pari a poco più del 60% dell'ultima retribuzione (andando in pensione a 67 anni con 37 anni di contributi), mentre gli autonomi vedranno ridursi il tasso fino a meno del 40% (a 68 anni con 38 anni di contributi).

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