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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2011 alle ore 16:41.

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Rahul Gandhi in visita al villaggio di Nangla Bhattauna, 5 luglio 2011 (EPA)Rahul Gandhi in visita al villaggio di Nangla Bhattauna, 5 luglio 2011 (EPA)

Un uomo di nome Gandhi in marcia, cammina a fianco dei contadini da un villaggio dell'India all'altro per far conoscere la loro causa. C'è chi lo chiama con sprezzo "il principe" ma se Rahul, figlio di Sonia e nipote di Indira, diventerà un giorno primo ministro, avrà cominciato a costruire la propria strada qui, nella polvere e nel caldo dell'Uttar Pradesh.

In mano una bottiglia d'acqua, sudore sulla fronte, Nike e kurta pyjama, la candida "divisa" degli uomini indiani: percorre una ventina di chilometri al giorno e a sera si ferma in qualche casa a mangiare minestra di lenticchie e roti, il pane indiano non lievitato, invita tutti a partecipare il 9 a un grande raduno: Rahul Gandhi ha fatto propria la protesta degli agricoltori contro l'espropriazione forzata delle loro terre lungo il tracciato dell'autostrada che collegherà New Delhi ad Agra, la città del Taj Mahal.

«Migliaia di contadini non hanno potuto avere un giusto prezzo per la loro terra – attacca Gandhi -. Ecco perché sono qui, sono venuto a incontrare queste persone per capire direttamente i loro problemi e riferire a Delhi».

Due mesi fa la polizia dell'Uttar Pradesh lo aveva arrestato, Rahul è tornato alla carica. In realtà l'obiettivo va al di là della questione della terra perché il Congress Party presieduto da Sonia, vedova del padre di Rahul, guarda alle elezioni locali del prossimo anno contando di strappare l'Uttar Pradesh – lo stato più popolato dell'Unione indiana – al Bahujan Samaj Party della grande rivale di Sonia, Mayawati, il primo chief minister che viene dalla casta dei dalit, gli intoccabili. Mayawati protettrice dei più poveri: ma la vicenda delle confische e dell'autostrada del Taj Mahal riflette l'eterno dilemma indiano di uno sviluppo che deve farsi strada nella povertà.

Il Governo spera di far passare in questa sessione del Parlamento un progetto di legge che riscriva il Land Acquisition Act di epoca britannica: ma anche all'interno della coalizione al potere non c'è identità di vedute sul ruolo che dovrà avere lo Stato nelle acquisizioni di terra a uso industriale o commerciale, e soprattutto nel modo di definire il giusto prezzo dei terreni.

Secondo la stampa indiana, nell'Uttar Pradesh il governo locale ha pagato ai contadini 850 rupie (19 dollari) per metro quadro, vendendo però ai privati per undici volte tanto. Nello stesso tempo, le Camere di Commercio e Industria associate calcolano che in tutta l'India la battaglia sulle terre tiene in ostaggio progetti per 100 miliardi di dollari: piani di sviluppo industriale, nuove infrastrutture e trasporti che alimenterebbero la crescita dei posti di lavoro.

Un esempio che risalta nella cronaca di questi giorni, nel Bengala occidentale, riguarda la Tata Motors, costretta a trasferire uno stabilimento automobilistico in un altro stato, il Gujarat: l'azienda ora è in causa con il nuovo governo di Calcutta per la legge che impone la restituzione della terra ai contadini. «Voglio ascoltare e capire», ripete Rahul, campione dei poveri, proseguendo la sua marcia. Dare delle risposte sarà la parte più difficile.

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