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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2011 alle ore 14:57.

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Cina e India non crescono di solo Pil (Illustrazione di Sroop Sunar)Cina e India non crescono di solo Pil (Illustrazione di Sroop Sunar)

L'economia indiana ha da poco raggiunto un tasso di crescita annuo dell'8% circa (dovrebbe arrivare al 9% entro quest'anno), e ci si chiede se e quando potrebbe superare il 10% e oltre della Cina. Nonostante l'eccitazione che queste discussioni sembrano suscitare in India e all'estero, è sciocco concentrarsi solo sui dati del Pil senza confrontare i due Paesi sotto altri aspetti, come l'istruzione, l'assistenza sanitaria di base o l'aspettativa di vita: la crescita economica può certo essere di grande aiuto nel migliorare gli standard di vita con la sconfitta della povertà, ma la crescita del Pil non andrebbe comunque vista come fine a se stessa, bensì come un mezzo per raggiungere gli obiettivi che riteniamo importanti.
Si potrebbe però obiettare che questa distinzione non fa poi tanta differenza, dato che la crescita economica rafforza la nostra capacità di migliorare gli standard di vita. Tuttavia, occorre innanzitutto rendersi conto che se è vero che la crescita del Pil è importante per le condizioni di vita, il suo impatto concreto dipende in larga misura da come vengono impiegate le risorse in più: il rapporto fra crescita economica e miglioramento degli standard di vita, cioè, è subordinato a molti fattori, tra cui le diseguaglianze economiche e sociali e, cosa non meno importante, la destinazione assegnata dal Governo alle maggiori entrate fiscali.

Secondo alcune statistiche sui due Paesi tratte soprattutto dai dati della Banca mondiale e delle Nazioni Unite, l'aspettativa di vita alla nascita in Cina è di 73,5 anni, in India di 64,4; la mortalità neonatale è del 50 per mille in India, del 17 in Cina; per i bambini sotto i cinque anni, il tasso di mortalità è del 66 per mille in India e del 19 in Cina; in India, la mortalità materna è di 230 su 100mila nascite, in Cina di 38; gli anni di istruzione sono in media 4,4 in India, 7,5 in Cina; il tasso di alfabetizzazione fra gli adulti cinesi è del 94%, fra gli indiani del 74% (stando ai dati preliminari del censimento del 2011).
In seguito agli sforzi condotti dall'India sul fronte della scolarizzazione femminile, il tasso di alfabetizzazione per le donne tra i quindici e i ventiquattro anni ha registrato un notevole aumento, ma non supera ancora di molto l'80%, contro il 99% cinese. Uno dei più gravi problemi dell'India è dato dall'ampia percentuale di bambini ancora vittime – in vari gradi – della denutrizione (a seconda dei criteri usati, il dato può avvicinarsi alla metà della popolazione infantile), che in Cina si ferma su livelli molto bassi. Solo al 66% dei bambini indiani è stato somministrato il vaccino trivalente contro difterite, pertosse e tetano; in Cina, la percentuale è del 97%.

Confrontare i due Paesi alla luce di questi standard può essere più utile che limitarsi alla considerazione dei tassi di crescita del Pil. Chi teme che una maggiore attenzione agli "obiettivi sociali" – istruzione, assistenza sanitaria eccetera – potrebbe finire per compromettere la crescita economica indiana, si tranquillizzi considerando che, nonostante queste attività "sociali" e i successi ottenuti su questi fronti, la crescita del Pil cinese resta ancora nettamente superiore a quella indiana.
Se consideriamo l'impatto della crescita economica sulla vita delle persone, la Cina risulta in vantaggio rispetto all'India; tuttavia, ci sono anche diversi campi in cui è possibile istituire un confronto che non sia legato alla crescita economica. La maggior parte degli indiani apprezzano molto la struttura democratica del loro Paese, con il suo sistema pluripartitico, le elezioni libere, i media non sottoposti a censura, la libertà di parola e l'indipendenza della magistratura, tutti indici di una democrazia viva. Chi critica i limiti di queste realtà indiane (io per primo), dovrebbe comunque tener conto di tutte le conquiste che l'India ha già raggiunto sul fronte democratico rispetto a molti altri Paesi, fra cui la Cina.

In India non c'è soltanto la libertà di accedere a internet e all'informazione mondiale senza censura, ma ci sono anche innumerevoli media nazionali che presentano i più svariati punti di vista, spesso molto critici nei confronti del Governo in carica. Si ricordi che l'India vanta il più alto tasso di circolazione dei quotidiani del mondo, quotidiani che riflettono prospettive politiche contrastanti. La crescita economica ha contribuito, cosa certo molto positiva, alla diffusione di radio e televisori – spesso condivisi tra più utenti – in tutto il Paese, incluse le aree rurali. Ci sono almeno 360 emittenti televisive indipendenti (e molte altre stanno nascendo proprio ora, a giudicare dalle licenze già concesse), le cui trasmissioni veicolano una notevole varietà di punti di vista. Più di duecento di queste emittenti si concentrano soprattutto – o in modo comunque sostanziale – sulle notizie, in molti casi ventiquattr'ore su ventiquattro; il contrasto con il sistema monolitico dei notiziari autorizzati dallo Stato in Cina, con poche variazioni di prospettive politiche fra una stazione e l'altra, non potrebbe essere più netto.

La libertà di espressione è importante come strumento per le politiche democratiche, ma è anche una cosa che la gente apprezza di per se stessa. Anche le componenti più povere della popolazione vogliono partecipare alla vita politica e sociale, e in India possono farlo. Fra India e Cina c'è un contrasto anche sul piano dei processi e delle condanne, fra cui quella capitale: capita spesso che il numero di persone giustiziate in Cina in una sola settimana superi quello di tutte le condanne a morte eseguite in India fin dall'indipendenza, nel 1947. Se vogliamo fare un raffronto ad ampio spettro sulla qualità della vita nei due Paesi, dobbiamo andare oltre gli indicatori sociali tradizionali; e molti di questi confronti non sono favorevoli alla Cina.

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