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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2011 alle ore 23:07.

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Nella migliore delle ipotesi una discussione animata, partita dalle diversità di vedute sui conti pubblici e sulla manovra economica e finita con un messaggio chiaro ed esplicito: non sarò vittima del metodo Boffo.

Dall'interrogatorio del ministro dell'Economia Giulio Tremonti - sentito dai pm napoletani Francesco Curcio ed Henry John Woodcock come persona informata sui fatti nell'ambito dell'inchiesta sulla P4 - emergono i contrasti tra il titolare dell'Economia e Silvio Berlusconi.

Così come è molto dettagliata l'analisi che il ministro Tremonti fa della situazione all'interno della Guardia di Finanza, finita al centro della bufera perché è all'interno del Corpo - stando alle accuse contenute sia nell'ordinanza d'arresto per Bisignani e del deputato Alfonso Papa sia in
quella per il parlamentare del Pdl Marco Milanese - che vanno cercate le "talpe" responsabili della fuga di notizie. Ed è proprio da qui che partono i pm, sentendo Tremonti domenica 17 giugno nella sede della Dia a Roma.
Al ministro, Curcio e Woodcock chiedono se sappia qualcosa di presunte «cordate contrapposte» di alti ufficiali all'interno della Gdf.

«Tutto sommato, a distanza di qualche tempo - risponde Tremonti - mi vado sempre più convincendo del fatto che la rimozione dell'impedimento di legge a che gli alti ufficiali della Gdf potessero ricoprire l'incarico di comandante generale è stata per un verso positiva, poichè al vertice del
Corpo viene nominata persona che conosce le problematiche ma
ha portato anche conseguenze negative, nel senso che si sono creati meccanismi di competizione tra possibili candidati».

In sostanza i generali, nella prospettiva di diventare comandanti, «hanno preso a coltivare relazioni esterne al corpo che non trovo opportune». Di queste "frequentazioni" Tremonti rivela di averne parlato con l'attuale comandante Nino Di Paolo, il primo a provenire dalle Fiamme Gialle e «persona che stimo particolarmente». «Nella mia qualità di ministro mi sono permesso di suggerire - dice - di dare alcune direttive, nel senso di avere un tipo di vita più sobria. Possiamo dire che gli dissi: "meno salotti, meno palazzi, consegne in caserma".

È a questo punto che l'interrogatorio vira decisamente sui rapporti con il premier. I pm gli fanno sentire la telefonata del 7 giugno scorso tra il capo di Stato maggiore della Gdf, il generale Michele Adinolfi (indagato nell'inchiesta della P4 per rivelazione del segreto e favoreggiamento) e Berlusconi e gli chiedono se quest'ultimo avesse «utilizzato strumentalmente le Fiamme Gialle contro di lui».

«Non ho mai detto a Berlusconi - risponde Tremonti - che lui mi voleva far fuori tramite la Gdf. Ritengo che Berlusconi abbia fatto un erroneo collegamento fra diverse frasi da me pronunciate».

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