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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2011 alle ore 06:43.

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Le scadenze dei fondi alla Grecia saranno allungate a 15 anni e i costi dei finanziamenti saranno sostanzialmente ridotti (al 3,5% anziché al 4,5-5,8%) e portati finalmente in linea con quelli che la stessa Ue fornisce ai Paesi non euro (Lettonia, Romania e Ungheria) o ai Paesi non europei nell'ambito dell'"assistenza macrofinanziaria". Il miglioramento delle condizioni dei prestiti fa pulizia dei paletti che Berlino riteneva indispensabili per evitare contestazioni costituzionali sulla violazione dei Trattati e della clausola di "non salvataggio". Si riscopre così una dimensione solidale degli aiuti tra Paesi che hanno toccato con mano la loro interdipendenza. In cambio di ciò l'Ue interverrà direttamente nell'uso in Grecia dei fondi strutturali europei che verranno orientati a investimenti produttivi. Uno scambio analogo vale per l'Irlanda che accetta di cooperare sull'armonizzazione fiscale in cambio di finanziamenti a tassi molto ridotti. Nel complesso si tratta dello sviluppo di una politica economica coordinata, a scapito delle sovranità nazionali.
Anche Parigi, come Berlino, ha dovuto rinunciare a qualcosa. È stata rimossa infatti la proposta francese di una tassa sulle banche dell'euroarea che mancava di basi giuridiche comuni e che rappresentava un trucco per distribuire sulle banche degli altri Paesi il contributo richiesto agli istituti - prevalentemente francesi - esposti in crediti verso la Grecia.
Ma in prospettiva le novità maggiori riguardano il ruolo del Fondo di stabilità finanziaria che dovrà essere ridefinito a settembre attraverso le ratifiche dei Parlamenti. Poter varare aiuti precauzionali significa rendere concreta la sorveglianza attiva sulle politiche economiche dei Paesi dell'euro ben prima che scattino condizioni di crisi. La sorveglianza attiva si applicherà anche allo stato dei sistemi bancari a cui sarà possibile estendere programmi di ricapitalizzazione. Inoltre, consentire al fondo di stabilità d'intervenire sul mercato secondario dei titoli pubblici significa liberare la Bce da compiti propri della politica fiscale e attenuarne la resistenza al finanziamento delle banche greche in caso di default grazie al fatto che le banche offriranno collaterale, emesso dall'Efsf. Le perdite sarebbero a carico dei Governi e non della stessa Bce. Ma agire regolarmente sul mercato secondario per l'Efsf significa anche istituire l'embrione di un'agenzia del debito europeo. In tale contesto allineare i tassi applicati agli aiuti per i Paesi deboli al costo del finanziamento dei paesi a "Tripla A" elimina un ostacolo pratico e concettuale all'uso degli eurobond come strumenti di finanziamento comune del fondo di stabilità. L'emissione di eurobond fornirebbe al fondo di stabilità le risorse necessarie - e ora mancanti - per affrontare una crisi italiana o spagnola.
Perché questi sviluppi siano credibili tuttavia il Fondo Efsf andrà ridisegnato. Attualmente non ha personalità giuridica (a differenza del successore Esm che entrerà in vigore dal 2013) né capitale proprio e le garanzie che offre non sono comuni, ma bilaterali e "pro-quota". L'Efsf non rappresenta quindi per ora quel "filtro istituzionale europeo" che è necessario interporre tra gli aiuti ai Paesi in crisi e il debito degli Stati nazionali affinché l'eventuale sostegno a Paesi come Italia o Spagna non si scarichi sul debito pubblico degli altri Paesi, diventando potenzialmente insostenibile e perdendo credibilità. Una volta risolti i problemi giuridici nella riforma dell'Efsf, quelli relativi al rischio di default indotto dal coinvolgimento dei privati e quelli politici sul varo degli eurobond, l'insieme della risposta apparirà coerente e forte.
cbastasin@brookings.edu
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