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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2011 alle ore 08:35.

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NEW YORK – L'accordo è sfumato. Sfiduciato, stanco, sconfitto, John Boehner, l'ex uomo forte del partito repubblicano ha gettato la spugna: nella notte, pochi minuti prima di un voto che sembrava scontato alla Camera, ormai più vicini alla chiusura dell'epica battaglia sul bilancio, con un copione già scritto da qui a lunedì per evitare il default tecnico del governo americano, l'agenda è cambiata. Si è cominciato a votare sui nomi di nuovi uffici postali nell'Illinois.

In quel momento si è capito che la spaccatura fra leadership repubblicana e Tea Parties era insanabile. Si è capito che il Paese sarebbe di nuovo precipitato nell'incertezza. Che la parola data da Boehner ai grandi di Wall Street pochi giorni prima («Non ci sarà default»), che noi stessi abbiamo riferito, era priva di significato e che il «fallimento» tecnico degli Stati Uniti d'America tornava a essere possibile. I grandi finanzieri a New York si sono così trovati nella condizione che più li preoccupa, quella dell'incertezza, della mancanza di un punto di riferimento per capire lo sviluppo delle cose. Con Wall Street che attende con ansia l'apertura, fra poche ore, dopo che tutte le borse asiatiche hanno già reagito con movimenti al ribasso fra lo 0,50% e l'1%.
Il copione era complesso. Prevedeva il passaggio alla Camera di un piano mediocre che rispondeva alle preoccupazioni della destra conservatrice: tenere duro sul fronte delle concessioni. Il piano "salva faccia" della destra repubblicana sarebbe giunto al Senato per essere bocciato dalla maggioranza democratica.

Il Senato avrebbe rispolverato e approvato invece un piano "bipartisan" da inviare alla Camera che superava gli ostacoli politici, si accontentava di tagli più contenuti, ma innalzava il tetto sul debito per andare avanti fino a dopo le elezioni dell'anno prossimo. Ma gli irriducibili dei Tea Parties non ci sono stati. Non sono venuti a Washington per rifare i vecchi minuetti dei giochi delle parti. E mentre Boehner cercava di corrompere davanti a pizze fumanti ordinate in scatole di cartone consegnate nel suo ufficio alcuni irriducibili come Trent Franks e Jeff Flake, dell'Arizona, Chuck Fleischmann, del Tennessee, Randy Hultgren e Joe Walsh dell'Illinois, Mo Brooks dell'Alabama, Louie Gohmert del Texas o Tim Scott dell Carolina del Sud, il braccio armato di queste matricole del Tea Party, il movimento "Freedom Works" lanciava messaggi su Twitter: "voteremo no". "Il mio voto? Resterà un "bloody", un "maledetto" no, diceva Gohmert nel suo strascicato accento texano mentre usciva dall'ufficio di Boehner con il formaggio che ancora gli colava sull'angolo della bocca.

La palla ora passa forse al Senato. Si cercherà di tornare alla ragionevolezza. Di lavorare per un compromesso bipartisan che possa raccogliere anche i voti dei democratici alla Camera. Di certo non c'è più bussola a Washington. La Casa Bianca che si era tenuta ai margini in queste ore è sbigottita. Il Presidente Barack Obama impotente. Il Presidente della Camera impotente. E dire che i due appena un mese fa credevano di aver suggellato un accordo, un percorso politico, durante una partita a golf giocata in un sabato d'inizio estate a Washington, alla Edwards Air Force Base, come si faceva ai vecchi tempi. Poi il castello è crollato. E ora si attendono altri sviluppi. Si dice che il Downgrading del rischio America potrebbe venire già oggi, tanto per aggiungere un nuovo elemento storico – sarebbe la prima volta – a una battaglia caotica davvero senza precedenti. Che capiti proprio in quest'anno, in cui ci selebra il 150° anniversario dell'inizio dela Guerra Civile, è solo un altro aspetto evocativo di quanto marcata sia la svolta politica con cui si sta confrontando l'America del 2011.

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