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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2011 alle ore 08:13.

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ROMA
«Per uno come me, devo dire onestamente, scusarsi è una cosa che...». La frase resta lì, incompleta, ma anche così quello che Giulio Tremonti vuol dire è sufficientemente chiaro: non è facile per il ministro dell'Economia andare in tv ospite a «Unomattina», come ha fatto ieri, per spiegare l'"affare Milanese", il suo ex consigliere politico finito sotto inchiesta a Napoli, al quale pagava in contanti quattromila euro al mese «corrisposti settimanalmente» per occupare l'appartamento di via di Campo Marzio n. 24 a Roma. Se non proprio le scuse, quelle di ieri del ministro sono state le spiegazioni finora più circostanziate sulla casa romana, presa in affitto dal Pio Sodalizio dei Piceni da parte di Milanese, in cui il ministro non abita più da alcuni giorni ma che resta al centro di un caso politico sempre più imbarazzante.
Ieri è stato il giorno dell'autodifesa. «Prima di fare il ministro – ha messo in chiaro in mattinata il ministro davanti alle telecamere – dichiaravo al fisco 5 milioni, 10 miliardi di vecchie lire all'anno. Do in beneficenza più di quanto prendo come parlamentare. Non ho bisogno di avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani. Non ho casa a Roma, non me ne frega niente, non faccio vita di salotti». Detto questo, il ministro ammette: «Forse avrei dovuto essere più attento ma gestire il terzo debito ti impegna abbastanza». Nessuna intenzione di lasciare l'incarico: «Vorrei continuare a lavorare nell'interesse del mio Paese». E, come il giorno prima Umberto Bossi, il neo-guardasigilli Nitto Palma lo difende: «Non credo che allo stato delle cose si debba dimettere». È la linea scelta dal premier Silvio Berlusconi: "difendere Giulio", anche perché alternative a Tremonti non se ne vedono.
La «scusante» del lavoro pesante si ritrova anche in uno degli altri due luoghi in cui il titolare di via XX settembre ha raccontato la sua versione e, cioè, nella lettera al Corriere della sera, dove Tremonti cita «l'impegno durissimo in questi anni non facili». «Ho commesso degli illeciti? – si chiede –. Per quanto mi riguarda sicuramente no. Ho fatto errori? Sì, certamente. In primo luogo, se qualcosa posso rimproverarmi vi è il fatto di non aver lasciato prima l'immobile». Cosa ha spinto il ministro dell'Economia a compiere quella che in un colloquio con Repubblica (il terzo "luogo" delle spiegazioni) derubrica a «stupidata»? «La verità – ha rivelato al quotidiano romano – è che da un certo momento in poi, in albergo o in caserma, non ero tranquillo. Mi sentivo spiato, controllato, in qualche modo persino pedinato». Per questo, racconta, «ho accettato l'offerta di Milanese. L'ospitalità di un amico, presso un'abitazione che non riportava direttamente al mio nome mi era sembrata la soluzione per me più sicura». Il riferimento alla «caserma» tira in ballo la Guardia di finanza e richiama le "cordate" nella Fiamme gialle di cui Tremonti parlò con il Pm Piscitelli rivelando di sentirsi sotto l'attacco della fazione che aveva rapporti con il premier. Quel «non me la sentivo più di tornare in caserma» confessato dal ministro fa dire a fonti vicine alla Gdf che in realtà il ministro non risulta "ospite" dal 2004. Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa, rilancia i sospetti: «Il potere della Gdf è troppo grande, troppo incontrollabile» ha detto a Radio 24. Affermazioni «inaccettabili» per il ministro che lo spingono a in serata chiamare il comandante generale della Guardia di Finanza, generale Nino Di Paolo, per confermare «piena fiducia e stima nelle Fiamme Gialle».

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