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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2011 alle ore 08:01.

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Il decreto legge rimpatri incassa il secondo sì del Parlamento e viene convertito definitivamente in legge, accompagnato alla meta dal solito aspro scontro tra maggioranza e opposizione. Con uno scarto di 22 voti (151 contro 129: a favore Pdl, Lega e Coesione nazionale, contrari Pd, Idv, Udc, Api-Fli) l'Aula del Senato ieri sera ha approvato il testo per l'attuazione della direttiva europea sulla libera circolazione dei cittadini comunitari (2004/38/CE) e per il recepimento di quella sul rimpatrio degli extracomunitari irregolari (2008/115/CE).

A innescare nuove polemiche in un dibattito già tormentato - tra la sentenza della Corte Ue che in aprile aveva bocciato il ricorso alle (pesanti) sanzioni penali per la mancata espulsione degli irregolari, e poi quelle della magistratura italiana che disinnescavano progressivamente la Bossi-Fini - è stata l'approvazione dell'ordine del giorno leghista, che impegna il Governo «a esigere che alle forze aeronavali impegnate nell'operazione Unified Protector (in Libia, ndr) siano assegnati compiti anche nel campo della prevenzione dei flussi migratori non controllati diretti dal Maghreb verso l'Europa». La Lega chiedeva poi anche l'aumento delle pene, fino all'ergastolo, per i trafficanti di esseri umani. Un odg definito dal Partito democratico «gravissimo» e indice della «cattiva propaganda» della Lega Nord.

Polemiche che sono state solo l'anticipo degli attacchi sul merito del provvedimento, passato identico al testo già approvato alla Camera e con il rigetto di tutti i 59 emendamenti dell'opposizione. Nel mirino c'è il periodo di trattenimento nei Cie, che può arrivare a 18 mesi. Per Stefano Pedica, Ivd, «è un vero e proprio obbrobrio giuridico. Il migrante che non ha commesso reato viene trattato peggio di chi è indagato per associazione mafiosa, estorsione aggravata, sequestro di persona, pedopornografia e violenza sessuale: per questi la custodia cautelare è più breve del trattenimento nei Cie. Con i quali tra l'altro tutto si fa all'infuori di rispettare il diritto umano di chi viene nel nostro Paese per fuggire alla guerra e alla fame».

Va sottolineato che formalmente la direttiva Ue non vieta il trattenimenti: la 2008/115, entrata in vigore nel gennaio 2009 (e dal dicembre scorso diventata self executing in 12 Paesi tra cui l'Italia) prevede che, nel periodo entro cui deve adempiere volontariamente all'ordine di espulsione, lo straniero può essere controllato con varie misure amministrative (cauzione, consegna dei documenti, obbligo di dimora in un luogo) fino all'ordine di allontanamento immediato. È possibile adottare misure coercitive per l'allontanamento, ma «adeguate» e con «uso ragionevole della forza». Il trattenimento, per l'Unione europea, è possibile in casi estremi ma deve essere «brevissimo». La questione quindi, secondo gli scettici, è se sia ragionevole allungare i tempi fino a 18 mesi quando l'esperienza dimostra che se le condizioni per l'allontanamento non si realizzano nelle prime settimane, quasi mai si realizzano dopo.

Anche a proposito dei cittadini comunitari - cioè dell'area dei 27 Paesi europei - scatta, con la nuova legge, la possibilità di espulsione coattiva, che pure non è prevista esplicitamente dalla direttiva europea recepita. La norma potrebbe quindi dar luogo a qualche perplessità sul fatto che uno Stato possa legittimamente prevedere una misura coattiva che incide pesantemente sulla libertà di circolazione, tutelata dalle norme europee.

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