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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2011 alle ore 08:17.

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il Punto di Stefano Folli
Ogni giorno che passa si rafforza l'idea che la manovra economica rappresenta per il centrodestra una prova di maturità, certo, ma anche una sfida alla propria storia. «Se noi del Pdl non vogliamo perdere la nostra identità, dobbiamo cambiare impostazione» ha detto Roberto Formigoni a Repubblica e poi a Radio 24. Di tasse si muore, dice in sostanza il governatore della Lombardia: meglio vendere parte del patrimonio pubblico, dalla Rai alle Poste.

Altri punti di vista. Avvenire, quotidiano dei vescovi, scrive che la vera lacuna della manovra è nella prospettiva dello Stato: «oggi è ramificato, ma ovunque debole; si dovrebbe passare a uno Stato leggero, snello e forte in pochi settori, dal welfare alla giustizia». Significativo che il giornale della Cei consideri «un'occasione persa» il mancato intervento sulle pensioni d'anzianità, perchè si deve «incidere sui meccanismi che ci hanno portato negli anni a un passo dal baratro. Bossi, che è tra i frenatori più attivi - scrive ancora Avvenire -, non dovrebbe dimenticare che i veri 'poveracci' non sono tanto i pensionati anticipati, quanto i giovani che rischiano di avere in futuro pensioni assai basse».

E' un richiamo che tocca proprio l'identità di una forza di governo «moderata», attenta al mondo cattolico e al tema della famiglia. Ma esiste anche un approccio critico di tipo liberista. Antonio Martino parla sul Messaggero a nome di un gruppo di parlamentari (una ventina?) che vorrebbe il ritorno al fatidico '94, al mito di quella «rivoluzione liberale» sempre promessa da Berlusconi e mai realizzata.

Martino accusa la manovra di essere addirittura di stampo «socialista» a causa della presenza nel Pdl e nel governo di numerosi esponenti provenienti dal vecchio Psi. Ce l'ha soprattutto con Tremonti, suo vecchio avversario, ma il richiamo al «partito liberale di massa» non è solo un vezzo intellettuale. La minaccia di creare un movimento anti-fisco sul modello americano dei «Tea Party» può far sorridere, ma fino a un certo punto. Berlusconi non può permettersi oggi di essere contestato alla sua destra da qualcuno che gli rimprovera d'essere diventato una sorta di re (socialista) delle tasse.

Formigoni, il mondo cattolico, Martino e i liberali. Diversi modi d'intendere l'«identità» del Pdl. Ma tutto sommato convergenti nella visione di uno Stato «leggero» che taglia e dimagrisce invece di tassare. In questi anni Berlusconi è riuscito con la sua personalità a legare insieme i moderati e i liberisti. E non a caso il Pdl ha rappresentato la fusione di esperienze e culture diverse. Oggi l'emergenza economica e la manovra rischiano di lacerare questo fragile tessuto. E l'incalzare della Lega non aiuta.

Le cifre complessive non sono in pericolo perchè in definitiva c'è sempre la 'fiducia' a cui far ricorso se in Parlamento il gioco sfugge di mano. Ma il Pdl, così come lo abbiamo conosciuto in questi anni, potrebbe uscire logorato dalla prova, dopo aver scontentato la platea dei suoi elettori. E' un punto cruciale su cui il neosegretario Alfano deve riflettere. Una difesa granitica della manovra sarebbe un errore. Più ragionevole aprire un vero confronto con le opposizioni. Con Casini, il più affine. Ma anche con Bersani. Del resto, l'idea di tassare i redditi «scudati» è molto popolare e il centrodestra avrà parecchie difficoltà a lasciarla cadere senza dare nulla in cambio.

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