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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2011 alle ore 08:35.

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Nessuno, soltanto qualche mese fa, avrebbe mai immaginato una fine di Gheddafi così rapida e violenta. Nessuno poteva pensare che avrebbe dovuto fare i conti prima con una rivolta e poi con i raid della Nato che gli sono stati fatali più delle disordinate milizie degli insorti.

Alla fine dell'agosto scorso sbarcava a Roma per la sua terza visita ufficiale dopo il trattato di amicizia del 2008, con una divisa grondante di medaglie e l'effigie dell'eroe libico della guerra anticoloniale, Omar el Mukhtar. Lo attendevano incontri, cortei di politici e uomini d'affari, e persino una platea di centinaia di ragazze avvenenti ingaggiate per una sua conferenza sull'Islam. Vennero annunciate anche delle conversioni. Dubbie. Di certo c'erano gli accordi con l'Eni da 25 miliardi di dollari, la joint venture con la Finmeccanica, l'aumento delle quote dei fondi libici nell'Unicredit. Le intese, a cui teneva allora fede, di frenare l'emigrazione clandestina dalla sponda Sud.

Gheddafi era un amico, un alleato, un socio in affari nostro ma anche della Francia e della Gran Bretagna. Gli inglesi, per mettere il collo davanti all'Italia nei contratti petroliferi, erano arrivati riconsegnare ai libici anche uno degli agenti responsabili dei 280 morti nell'attentato al volo Pan Am, esploso nel 1988 sui cieli scozzesi di Lockerbie.

Sotto le bombe della Nato non è crollato un Bin Laden ma un alleato, almeno così sembrava, dell'Occidente. Appena dopo l'esplosione della rivolta, cominciata a Bengasi tra il 15 e il 17 febbraio, si pensava che Gheddafi avrebbe avuto facilmente ragione di un'opposizione che nel tempo si era dimostrata incapace di sbalzarlo dal potere. E invece un po' per l'effetto emulativo delle rivolte in Tunisia ed Egitto e molto per l'incapacità e l'inefficienza del regime, i ribelli si erano impadroniti della piazza. La reazione di Gheddafi è stata dura, amplificata da notizie su massacri, scontri, fosse comuni diffuse dalle tv arabe che hanno innescato un'ondata di sdegno anche nel mondo occidentale.

Con la risoluzione 1973 votata all'Onu il 17 marzo, dietro lo schermo della missione umanitaria, veniva decretata la fine del regime e la sua. Con l'intervento francese e britannico, assai rapido e un po' sospetto, seguito da quello americano e poi della Nato, si apriva un fronte della Cirenaica guidato dai ribelli contrapposto a quello della Tripolitania. La Libia di Gheddafi già non esisteva più.

Eppure questo raìs, il Qaid come lo chiamavano con rispetto i libici, ha avuto una sua grandezza. Veniva da un punto sperduto nel deserto della Sirte dove era nato nel 1942 ancora cittadino italiano: fu il primo della sua tribù a studiare. A 17 anni salì in piedi su una cattedra del liceo per esortare i compagni a seguire Nasser, l'eroe che si propose di emulare. Fu espulso: a Misurata, con il compagno Jalloud, cominciò a reclutare i giovani più intelligenti e coraggiosi che poi fecero il colpo di stato del 1969 contro il debole re Idris.

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