Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2011 alle ore 08:32.

My24
(Reuters)(Reuters)

Vorrebbero fuggire in Tunisia, mischiandosi al fiume di profughi e lavoratori stranieri che cerca di lasciarsi alle spalle la capitale in fiamme. Ma non è facile. Sull'isola tunisina di Djerba sarebbero arrivati il premier libico Ali Baghdadi al-Mahmoudi e alcuni importanti membri del regime. In Libia ormai è il caos.

Nonostante la loro disfatta sia solo una questione di quando, nell'ultimo, disperato tentativo di difendersi quel che resta delle milizie rimaste fedeli al colonnello Muammar Gheddafi – la guardia presidenziale si è arresa - continua a resistere.

Si combatte un po' dappertutto, nel cuore della capitale, ma anche nell'importante terminale petrolifero di Brega, a 240 chilometri da Bengasi, nella Sirte, roccaforte delle milizie lealiste, persino lungo la frontiera con la Tunisia, ritenuta pochi giorni fa meno pericolosa di altre zone. Qui sempre più miliziani di Gheddafi stanno cercando di fuggire in Libia ingaggiando scontri durissimi con i ribelli dispiegati nel deserto per braccarli.

I diversi bilanci delle vittime vengono aggiornati di ora in ora. Si parla di almeno 300 morti e mille feriti da sabato, vale a dire da quando è scattata la grande offensiva "Alba della sposa del mare" (Fajr Arus al Bahr), l'appellativo con cui molti libici amano riferirsi a Tripoli. Ma ogni bilancio è provvisorio e poco credibile. È certo che le vittime siano molte, e non si tratta solo di soldati e ribelli. Accecati dalla rabbia di chi sa già di aver perso, i cecchini del raìs sparano contro ogni cosa in movimento. Poco importa che siano civili, o addirittura bambini. Ieri le loro pallottole di precisione hanno falciato la vita di due ragazzini.

Quasi tutti i quartieri della capitale sono stati conquistati, ripetono i ribelli. Le versioni più credibili parlano dell'80% della città in mano loro. Eppure in molte strade i ribelli non osano strappare le bandiere verdi, simbolo della Jamahiriya, nel timore di esser colpiti dai tiratori scelti nascosti tra le macerie. Anche sul perimetro della grande Piazza Verde, simbolo di Tripoli, conquistata dai ribelli domenica e ora affollata di civili festanti. Ora la grande battaglia si sta concentrando verso quei quartieri ancora sotto il controllo del raìs. Soprattutto contro la super fortezza di Bab al-Aziziya, bombardata quasi ogni notte dai caccia della Nato.

Dei tre figli del rais che i ribelli hanno detto ieri di aver catturato, Mohammed, Seif al-Islam e Saadi, il primogenito Mohammed sarebbe riuscito a fuggire. La rete al-Jazeera riferisce che a Tripoli sono stati trovati due corpi carbonizzati che potrebbero essere quelli del famigerato Khamis, il figlio del Colonnello comandante della temibile 32.ma brigata, e del capo dell'intelligence Abdallah Senussi. Notizie che impongono cautela. Khamis è già stato dato per morto altre due volte e solo ieri Senussi è apparso alla tv di Stato, che poco dopo - con l'edificio che la ospita caduto in mano ai ribelli - ha sospeso le trasmissioni.

La sorte di Gheddafi, al potere da 42 anni, è un giallo. Nell'arco di poche ore le voci di una sua clamorosa fuga sono state subito seguite dalle smentite. Secondo fonti del Pentagono si troverebbe ancora a Tripoli, nel suo bunker. Per il Times di Londra starebbe negoziando con il Sudafrica un'uscita dietro le quinte. Probabilmente per cercare d imbarcarsi alla volta del Venezuela. Alcune voci lo danno invece in un bunker a Sirte, la sua regione natale. Dovrebbe essersi nascosto in un ospedale vicino a Tajoura, un sobborgo nella parte orientale della capitale, ha reso noto in serata la rete al-Arabiya senza fornire ulteriori particolari.

Nemmeno il leader del Cnt (Consiglio nazionale transitorio), Mustafa Abdel Jalil ha idea di dove sia. Gheddafi domenica ha promesso che sarebbe rimasto a combattere a Tripoli fino alla fine, ma poi il suo portavoce ha offerto un cessate il fuoco. Richiesta che i ribelli sono disposti ad accogliere solo se Gheddafi lascia il potere.

Intanto le diplomazie internazionali insistono nel chiedere che Gheddafi si faccia da parte evitando inutili spargimenti di sangue. ««Ci sono ancora molte incognite - ha detto in serata il presidente americano Barack Obama - ma quello che è certo è che il regime del Colonnello è ormai alla fine e che il futuro appartiene al popolo libico». Il premier italiano Silvio Berlusconi, da parte sua, ha esortato il Consiglio nazionale di transizione «ad astenersi da ogni vendetta» e nel pomeriggio ha parlato al telefono con il "premier" del Cnt, Mahmoud Jibril, confermandogli l'impegno dell'Italia al fianco della nuova autorità libica in vista di un prossimo incontro a Roma. Lo stesso Berlusconi, così come l'inglese David Cameron, la tedesca Angela Merkel e il francese Nicolas Sarkozy, hanno chiesto ancora una volta a Gheddafi di farsi da parte per evitare ulteriori, inutili spargimenti di sangue. Sarkozy ha invitato all'Eliseo Jibril e ha proposto una riunione dei Paesi del gruppo di contatto per la prossima settimana.

Mentre continuano gli scontri si moltiplicano gli appelli di pace. In primis è il Cnt: «Oggi che festeggiamo la vittoria, mi appello alla vostra coscienza e alla vostra responsabilità: non vendicatevi, non saccheggiate, non prendetevela con gli stranieri e rispettate i prigionieri». ha dichiarato Jalil in una conferenza stampa convocata ieri a Bengasi, roccaforte dei ribelli già da marzo, quando la rivolta era cominciata da appena due settimane. Aggiungendo poi che per il raìs e i figli «ci sarà un processo equo, all'interno delle leggi. Vogliamo prendere vivo Gheddafi per processarlo». Anche se poi ha avanzato il timore che qualche ribelle possa essere tentato «di applicare la legge del taglione».

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi