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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2011 alle ore 06:44.

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MILANO
Filippo Penati non si nasconderà dietro alla prescrizione. L'ex leader del Pd - già sindaco di Sesto San Giovanni, presidente della provincia di Milano, segretario dei Ds milanesi e capo della segreteria politica del segretario del Pd Pierluigi Bersani - coinvolto nell'inchiesta sul giro di presunte tangenti a Sesto San Giovanni, ieri, con una lunga lettera, ha chiarito il suo punto di vista sulla vicenda, precisando che se «al termine delle indagini ancora in corso tutto non verrà chiarito» non accetterà «in nessun modo un esito che lasci dubbi e zone oscure».
La lettera è in parte una risposta a quanti nel suo partito, in primis Bersani, stanno da giorni chiedendo a Penati di farsi processare in nome della trasparenza e del rispetto della legalità. E un po' anche per evitare al Pd l'imbarazzo che un leader di primo piano come Penati possa usufruire della norma che ha ridotto la prescrizione per i reati di corruzione a 7 anni, e definita dagli stessi democratici una «legge ad personam» per Silvio Berlusconi.
Ieri Penati, ricordando il suo passato da politico e da amministratore, si è difeso dall'accusa di corruzione mossa sia dalla procura (che in più sostiene si sia macchiato dei reati di concussione e finanziamento illecito ai partiti), sia dal Gip di Monza. Accusa per la quale non sarebbe stato messo in custodia cautelare in carcere, come gli altri due indagati Pasqualino Di Leva (ex assessore all'Edilizia di Sesto) e Marco Magni (architetto del Comune di Sesto), proprio perché, come ha spiegato il Gip Anna Magelli, i presunti reati di corruzione sarebbero già prescritti. I pm Walter Mapelli e Franca Macchia, che ancora chiedono gli arresti anche per Penati, parlano invece di concussione, ma per il giudice ci sono solo prove di corruzione.
Penati ha ribadito la sua innocenza sottolineando le «incoerenze e le falsità» dei suoi due grandi accusatori, gli imprenditori Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini (anche loro indagati), precisando anche che «se sono passati ben 10 anni e i reati sono prescritti è perché Pasini ha aspettato tutto questo tempo prima di dichiararsi vittima di concussione». Ma poi lo stesso politico sestese precisa che «lo sviluppo delle indagini è ancora lontano dall'essere concluso». E, ci tiene a sottolinearlo, «con la politica non mi sono arricchito».
Infine un appello: «chiedo alla politica di essere garante anche nei miei confronti del diritto che ha ogni cittadino di poter svolgere una difesa efficace e di non subire, soprattutto nella fase iniziale dell'indagine, pressioni politiche e non politiche di alcun genere».
Anche nella giornata di ieri si sono rincorse le sollecitazioni alla rinuncia alla prescrizione da parte del centrosinistra: da Walter Veltroni, che giudica la vicenda «gravissima», al presidente democratico della Toscana Enrico Rossi, che vuole «marcare una posizione ancora più netta, di condanna», al leader di Idv Antonio Di Pietro, che addirittura chiede a Bersani di cacciare Penati dal partito. E il caso Penati sarà anche all'ordine del giorno della riunione del coordinamento dei principali dirigenti del partito, convocata per domani pomeriggio da Pier Luigi Bersani.

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