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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2011 alle ore 06:36.

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L'Italia è nei guai perché i mercati considerano il suo debito pubblico troppo alto. Forse i mercati si sbagliano, o forse è una congiura della finanza anglosassone, ma è un fatto. Per cambiare opinione, i mercati vogliono vedere una manovra con tre caratteristiche: deve avere effetti immediati, deve essere quantitativamente rilevante, e deve essere gestita con autorevolezza dal Governo. Per il gestore di un hedge fund conta solo il 2012: i grandi annunci per il 2013 o il 2020 sono irrilevanti, o addirittura controproducenti perché danno l'impressione che il Governo non comprenda la gravità della situazione. E ai suoi occhi disquisizioni infinite su Iva, Irpef e pensioni per cifre irrisorie (lo 0,05% del Pil, come è avvenuto nelle ultime settimane) sono come discutere del sesso degli angeli mentre Bisanzio sta cadendo.
Alla luce di questi tre criteri, come valutare il risultato delle tre manovre estive, inclusa quella di lunedì ad Arcore? Complessivamente, il disavanzo primario dovrebbe scendere di 24 miliardi nel 2012, un po' più dell'1,5% del Pil; e di altri 24 miliardi nel 2013.
Se prese alla lettera, queste non sono cifre da poco, e ne va dato atto al Governo. Ma è impossibile raccogliere 48 miliardi senza far male a nessuno; l'unico modo è distribuire largamente i sacrifici così da fare meno male possibile a tutti coloro che possono permetterselo. Inizialmente, nella manovra di luglio, il Governo ha invece cercato di illudere se stesso e gli italiani che non ci fosse bisogno di interventi fino al 2014. Poi ha accusato speculatori e agenzie di rating, e nel mezzo della crisi più grave dal 1992 il premier ha usato gli scranni del Parlamento per chiedere agli italiani di investire nelle sue aziende.
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Il Governo si è così ritrovato in agosto a preparare una seconda manovra affrettata; di conseguenza, ha dovuto agire prevalentemente sulle entrate (non si improvvisano tagli di spesa in pochi giorni), ha dovuto sovrastimare gli effetti per far quadrare velocemente i conti, e ha dovuto raccogliere soldi dove poteva. Dopo poche ore, ha però rimesso pubblicamente tutto in discussione. Infine l'ultimo rimescolamento lunedì ad Arcore.
La vicenda della super-Irpef è emblematica. Sono consapevole di andare controcorrente, ma la super-Irpef era un'ottima idea: visto che qualcuno deve pagare, era il modo migliore, perché trasparente e progressivo, di far pagare tutti coloro (al netto dell'evasione) che possono permetterselo. E un reddito di 100mila euro può certamente permettersi qualche centinaio di euro in tasse extra. Ci si è inventati l'idea che l'Iva fosse meno iniqua e meno depressiva, anche se le imposte indirette sono sempre state considerate regressive, e fin da prima di Keynes è idea comune che i poveri spendano e consumino più dei ricchi, in proporzione al reddito. Ne è seguito un dibattito feroce su 670 milioni di euro di gettito netto, lo 0,04% del Pil, a fronte di quasi 2mila miliardi di debito pubblico e di una spesa pensionistica di 250 miliardi.

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