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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2011 alle ore 08:17.

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Muoiono le Province, nascono le province (in minuscolo) regionali. Tra le polemiche nel Governo tra ministri del Pdl e quelli leghisti, il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il Ddl costituzionale che azzera le Province attuali (tranne Trento e Bolzano) facendo nascere dalle loro ceneri le «forme associative» di Comuni per le funzioni di governo di area vasta sotto l'ombrello delle Regioni, che con propria legge dovranno definirne gli organi, le funzioni e anche – e significativamente – la legislazione elettorale.

Lo stesso ministro leghista Roberto Calderoli non ha avuto dubbi ieri nel ribattezzarle: quelle future saranno le «province regionali». Solo un lifting è stata l'accusa in un acceso Consiglio dei ministri dei responsabili Pdl dei Beni Culturali e delle Infrastrutture, Giancarlo Galan e Altero Matteoli, che chiedevano una scelta più drastica. Niente da fare: alla fine ha prevalso il testo sponsorizzato dal Carroccio. Anche se i presidenti provinciali in carica accusano: «È un provvedimento demagogico che farà precipitare il Paese nel caos e farà lievitare le spese».

Proprio il dibattito in Consiglio dei ministri dimostra quanto alta resti la tensione nel Governo e quante difficoltà possa ancora incontrare la riforma costituzionale non appena approderà in Parlamento (forse dapprima alla Camera) dove dovrà affrontare quattro letture per farcela a diventare legge entro la fine naturale della Legislatura tra non più di 16 mesi veri di lavori. Ad azzerare la discussione in Consiglio dei ministri sarebbe stato intanto ieri il sottosegretario alla presidenza, Gianni Letta, anche perché lo stesso Berlusconi stava tutto dalla parte della soluzione voluta dai leghisti, su cui in serata erano in corso ancora degli «aggiustamenti» tutti da valutare.

Intanto Calderoli canta vittoria. E mette in chiaro: «Le future province regionali assomiglieranno alle attuali Province delle Regioni a statuto speciale, che già da oggi hanno competenza esclusiva per l'ordinamento dei propri enti locali». Mentre con la modifica costituzionale, giura il ministro, sarà possibile far coincidere due esigenze contrapposte: «Garantire la razionalizzazione degli enti intermedi e le identità e l'incremento del grado di autonomia di governo del territorio». Come dire: siamo nel solco del federalismo. La riforma, ancora secondo il ministro leghista, consentirà così una concreta riduzione del numero degli enti intermedi a misura del territorio che non potrà che essere diverso da Regione a Regione o all'interno della stessa Regione. Mentre scatteranno la riduzione degli organi e della macchina amministrativa, più risorse per i servizi ai cittadini e «l'immediata cancellazione di tutta la costellazione di organismi ed agenzie non previsti dalla Costituzione, ma spuntati come funghi nel corso del tempo per garantire poltrone per tutti». Insomma, il Bengodi del buon governo locale, è la promessa.

Il Ddl costituzionale – come anticipato ieri da Il Sole 24Ore – dispone intanto con una rasoiata a sette articoli della nostra Carta la cancellazione almeno nominale delle Province. Le leggi regionali istituiranno «forme associative fra i Comuni» per le funzioni di area vasta entro un anno dall'entrata in vigore della nuova legge costituzionale. Contestualmente all'istituzione delle nuove forme associative tra i Comuni, scompariranno le Province e saranno sciolti e decadranno i loro organi. Anche lo Stato, con propria legge, dovrà razionalizzare i suoi organi periferici in linea con le determinazioni delle leggi regionali. E ancora, se sopravviverà nel testo finale del Ddl del Governo: dall'attuazione della riforma costituzionale dovrà derivare in ogni Regione la riduzione dei costi degli organi politici e amministrativi delle attuali Province. Ma ora tocca al Parlamento.

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