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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2011 alle ore 17:13.

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Allenamento della squadra di rugby della Nuova Zelanda che si prepara alla coppa del mondo (Ap)Allenamento della squadra di rugby della Nuova Zelanda che si prepara alla coppa del mondo (Ap)

È innanzitutto una grande festa e una celebrazione gioiosa delle diversità nazionali e culturali. Il campionato mondiale di rugby, che prende il via venerdì in una Nuova Zelanda che si sta lentamente riprendendo dal terremoto di Christchurch e dalla tragedia dei minatori di Pike River, è caratterizzato da un'atmosfera di cameratesca rivalità e di amore per lo sport.

I neozelandesi, appassionati tifosi di questo sport e legati a doppio filo alla loro squadra nazionale, gli All Blacks, che non hanno avuto storicamente molta fortuna in questo torneo (hanno vinto una sola volta, nel 1987) stanno dimostrando a tutto il mondo cosa voglia dire un'ospitalità kiwi style.

Paese etnicamente molto diverso, con un'alta percentuale di popolazione proveniente dall'Asia e dai Paesi del Pacifico, ma anche da molti Stati europei, le varie comunità si sono mobilitate per accogliere le nazionali dei loro Paesi d'origine. Rimarrà probabilmente nella storia sportiva di questa piccola nazione l'accoglienza ricevuta dalla nazionale di Tonga, arrivata all'aeroporto di Auckland martedì scorso. Il capitano della squadra, Finau Maka, è rimasto senza parole: «Non so cosa dire – ha affermato, visibilmente emozionato – Con tutta la gente che c'è, mi sembra di essere a Tonga. È un'accoglienza incredibile». I Bleu, per due volte in finale, sono stati accolti trionfalmente da una più piccola, ma sicuramente entusiasta, comunità francese, vestita per l'occasione in blu, bianco e rosso. La nazionale italiana, di stanza a Nelson (che conta un sindaco di origine italiana, Aldo Miccio), è stata salutata a colpi di cannelloni e pasta fatta in casa in un tripudio di tricolori.

Commovente anche l'incontro con la comunità Maori, con cui gli italiani intrattengono un rapporto speciale dai tempi della Seconda guerra mondiale (il battaglione Maori liberò Cassino, con un grande sacrificio di uomini). Non solo le comunità locali di emigrati si sono date da fare per accogliere le varie nazionali, ma gli stessi kiwi hanno cercato di mettere a loro agio le squadre di nazioni che non contano una forte presenza tra la popolazione. Ad esempio, a Blenheim, la popolazione locale, di 30mila abitanti, si è premurata di imparare un po' di russo prima dell'arrivo della nazionale di Mosca. I giocatori potranno tranquillamente ordinare il loro tè in russo e trovare facilmente la via di casa, perché tutti i nomi delle strade sono stati tradotti nella lingua di Tolstoj. A nessuno, poi, è stato negato l'onore di una haka maori di benvenuto, mentre la squadra nazionale canadese, con il quartier generale fissato a Kerikeri, ha avuto il privilegio di visitare il sito di Waitangi, luogo in cui si firmò nel 1840 lo storico Trattato di Waitangi tra la regina Vittoria e le tribù locali.

In puro spirito sportivo, il Dominion Post, il principale quotidiano della capitale, nella sua guida alla Rugby World Cup ha avuto parole di elogio per tutte le squadre partecipanti, anche per quelle meno favorite. Se nessuno degli italiani figura nella lista dei giocatori più sexy, classifica che vede ai vertici i neozelandesi Dan Carter e Sonny Bill Williams (All Black e pugile di professione, quest'ultimo), il capitano inglese Jonny Wilkinson e l'australiano James O'Connor (che in questi giorni sfoggia una curiosa pettinatura alla Justin Bieber), un atleta italiano è rientrato nel più gratificante "dream team": la squadra di rugby ideale. Il 27enne Sergio Parisse, capitano della squadra italiana, è stato definito dai giornali un giocatore di livello mondiale ("world class") e affiancato, tra gli altri, ai kiwi Dan Carter e Richie McCaw, e al sudafricano Jean de Villiers. Entusiasmo, fair play e genuino interesse per le diverse culture del rugby contraddistinguono un torneo mondiale che si preannuncia imperdibile.

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