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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2011 alle ore 14:40.
Per prima cosa il ricordo. Oggi, 11 settembre 2011, decimo anniversario dell'attacco all'America, il mondo intero si fermerà un momento nel ricordo delle vittime, del fumo, delle fughe per strada, della paura, degli orfani, della sfida al nostro modello di vita.
E nel ricordo della straordinaria risposta di solidarietà: tutti con gli Stati Uniti e contro gli estremisti islamici che volevano riportarci indietro di secoli. Poi la riflessione. E oggi?
L'abbiamo ancora quell'unità di intenti per andare avanti? O si è sfilacciata lungo un decennio di difficoltà di guerre, di crisi economica, di interessi politici divergenti? La riflessione riguarda tutti. Riguarda l'America, polarizzata in un momento di crisi economica. Riguarda l'Europa, divisa nelle scelte per difendere l'euro e per attaccare il contagio. Riguarda il mondo arabo, che cerca di cambiare, ma che ancora brucia le ambasciate israeliane.
Riguarda la Cina, che resta a metà del guado quando si tratta di assumersi certe responsabilità di leadership globale. Si è divisi persino quando si deve difendere la forza della democrazia davanti alle dimostrazioni di forza delle dittature. Si è divisi quando si torna a parlare di Stato, di mercato, di ruolo della "politica": l'America è sotto accusa per i suoi "eccessi" anche quando è guidata da un presidente afroamericano che cerca il multilateralismo, un uomo, Barack Obama, divenuto il simbolo stesso dell'accelerazione impressa all'evoluzione della storia dopo quell'attacco dell'11 settembre.
E dunque oggi, è su questo, sui pericoli della solidarietà perduta, che si dovrà riflettere quando vedremo il presidente presidente Obama e sua moglie Michelle sotto la Freedom Tower, ormai al 70° piano archiviare per sempre Ground Zero e inaugurare il Monumento Nazionale per l'11 settembre. D'ora in avanti si chiamerà così, sulla pianta delle due torri ci saranno due grandi piscine, cascate d'acqua e un pozzo nero centrale, sui bordi sono scolpiti i nomi di tutte le vittime di quel giorno.
Alle 8.46 del mattino, il momento dell'attacco alla torre Nord, nella solennità, nel silenzio e con la solita inevitabile grande emozione ascolteremo quei nomi scanditi come ogni anno dal tocco di una campana: 2.606 persone uccise a New York, 125 al Pentagono, 246 sugli aerei dirottati dai terroristi. Barack Obama non parlerà. Anche oggi, nel decimo anniversario, il sindaco Bloomberg ha voluto tenere fede al suo impegno. Ground Zero è un luogo sacro, non si può rischiare che diventi un oggetto della politica. Obama ha dunque parlato ieri, nel suo discorso del sabato, ha parlato delle sfide che restano aperte.
Delle guerre che stanno finendo, dei caduti nell'attacco e dei caduti in guerra, dei familiari delle vittime: «Volevano privarci dell'unità che definisce il nostro popolo. Ma non soccomberemo alle divisioni o ai sospetti. Noi siamo americani e siamo più forti e più sicuri quando onoriamo i valori, le libertà e le diversità, che ci rendono unici fra le nazioni».
Ieri, dopo due anni e mezzo di assenza da eventi ufficiali, dai media, dal dibattito politico, è anche riapparso George W. Bush. Con la moglie Laura ha deposto una corona di fiori al Pentagono. Insieme al vicepresidente Joe Biden ha inaugurato il monumento di Shanksville, in Pennsylvania, dove la prima giornata di questa lunga ricorrenza si è chiusa con l'illuminazione di 2.977 lanterne, una per ciascuna delle persone uccise nelle stragi di 10 anni fa. Oggi Bush tornerà anche a Ground Zero, dove la sua immagine sulle macerie con un pompiere e un megafono a incitare l'America alla resistenza resterà una delle icone storiche di quei giorni terribili.
La cerimonia a Ground Zero sarà ristretta, unici invitati i familiari delle vittime e i leader politici di oggi e di ieri. Fra cui Rudy Giuliani, il sindaco che si buttò a lavorare fra le macerie con i soccorritori. Ma non ci saranno gli ambasciatori a Washington dei Paesi che diedero la loro solidarietà totale all'America, o di quelli che hanno combattuto al fianco dei soldati americani. Peccato.
Poteva essere l'occasione per estendere quell'appello all'unità nazionale e al bipartitismo interno al di là dei confini nazionali.
Al di là degli eventi ufficiali, questo decimo anniversario è stato l'occasione per migliaia di manifestazioni spontanee in ogni angolo degli Stati Uniti e del mondo. A Los Angeles, ieri sera, si è tenuta una veglia di religiosi cristiani, musulmani ed ebraici illuminata da 500 lanterne. È stato letto il messaggio di Papa Benedetto XVI all'America ferita: «La tragedia di quel giorno è aggravata dalla pretesa che i colpevoli abbiano agito nel nome di Dio. Dobbiamo dire senza equivoci che nulla può giustificare atti di terrorismo».
Poi veglie, concerti, murales, parate di bandiere o vendite di biscotti, come quelli degli studenti universitari di Dayton, in Ohio, che hanno istituito borse di studio per i figli delle persone che hanno perso la vita l'11 settembre. E da questa partecipazione popolare che viene il messaggio rassicurante sulla tenuta di fondo dell'unità davanti alla crisi e alle sfide. Speriamo che duri, ovviamente. Ma c'è da dubitarne. Domani, finite le ricorrenze e asciugate le lacrime, si tornerà al "business as usual".
(ha collaborato Piepaolo Bozzano)
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