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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2011 alle ore 06:46.

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A otto mesi dalla rivoluzione che ha mandato a casa il regime di Mubarak, l'Egitto resta un Paese irrisolto: la disoccupazione all'11%, il Pil che cresce solo dello 0,4%, le difficili elezioni parlamentari del prossimo novembre, la Giunta militare contestata dai puristi della rivoluzione.

La prudenza è d'obbligo, per le imprese italiane che operano o esportano al Cairo. Ma non troppo: perché il Paese offre anche opportunità che è il momento di cogliere. Soprattutto una: l'inedito forte sostegno alla crescita delle Pmi. Tutte le Pmi: perché se un'azienda straniera si registra in Egitto, viene automaticamente trattata come egiziana, accesso agli incentivi incluso. Una bella occasione per il Made in Italy.
Poco più a ovest, anche la Tunisia sta affrontando la sua fase post-rivoluzione. Qui però le velleità sono di altro genere: diventare la base logistica per la ricostruzione in Libia.

C'è la disoccupazione all'11,8%, c'è il Pil che tra aprile e giugno è cresciuto solo dello 0,4%, e c'è la difficile prova delle elezioni parlamentari di ottobre. Questioni certamente prioritarie, per la Giunta militare che guida il governo di transizione del nuovo Egitto post-rivoluzione. Ma nella lista delle cose a cui Il Cairo sta lavorando c'è anche un inedito, forte sostegno alle crescita delle Pmi. «Tra gli incentivi in via di approvazione ci sono i finanziamenti per gli interventi di modernizzazione – spiega la signora Mona Wahba, consigliere commerciale dell'ambasciata egiziana a Roma – il sostegno alla formazione e i fondi per la promozione dell'export».

L'obiettivo è chiaro: sostenere l'attività economica di quella classe media che, con il suo malcontento, ha dato il via alle proteste del gennaio scorso che hanno portato alla fine del regime di Mubarak. Ma c'è un effetto collaterale che interessa da vicino le nostre imprese: «Tutti questi incentivi si applicano anche alle imprese straniere – assicura Mona Wahba – perché non appena una Pmi italiana che vuole investire in Egitto si registra da noi, automaticamente viene trattata come una società egiziana, vantaggi inclusi». Per il made in Italy potrebbe diventare una svolta: finora l'Egitto era stato un Paese più adatto alle grandi aziende che ai piccoli imprenditori.
A otto mesi dall'inizio della rivoluzione egiziana, e a nove da quella tunisina – che ha segnato il vero inizio della primavera araba – la vita delle imprese italiane che operano o esportano verso questi due Paesi è meno instabile. I governi, è vero, sono ancora di transizione, l'economia va a rilento, le prime elezioni libere non si svolgeranno che a ottobre in Tunisia e a novembre in Egitto. La prudenza è d'obbligo, ma il quadro per le nostre imprese non è poi così negativo.

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