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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 17:02.

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L'annuncio del nuovo governo del Consiglio nazionale transitorio libico, atteso per oggi, è stato rinviato 'sine die' «per concludere le consultazioni». Lo ha detto il 'premier' ad interim, Mahmud Jibril.

Le ultime forze militari fedeli a Gheddafi non sono ancora state sconfitte ma a tripoli e Bengasi è già partita la corsa per accaparrarsi un posto al sole negli affari con la nuova Libia. A sperare in laute commesse sono soprattutto francesi e britannici che sostengono il peso bellico maggiore al fianco degli insorti libici e durante la visita a Tripoli di David Cameron e Nicolas Sarkozy hanno incassato l'impegno del Consiglio Nazionale di Transizione ad attribuire agli alleati che hanno partecipato alla guerra in Libia avranno una priorità per gli accordi commerciali e di cooperazione economica. Nonostante il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, affermi che alla Libia «non abbiamo da chiedere niente di più di quello che facevamo prima» aggiungendo che «essere il loro primo partner per noi sarà normale» a fare le spese dell'offensiva anglo-francese potrebbero essere proprio le aziende italiane.

Un timore espresso da Alfredo Cestari, presidente della Camera di commercio ItalAfrica Centrale, secondo il quale molte aziende italiane rischiano di non rivedersi confermate le commesse prebelliche e di essere marginalizzate nella ricostruzione. Gli interessi economici e commerciali di Francia e Gran Bretagna «oggi hanno stravolto le posizioni che l'Italia aveva faticosamente raggiunto in Libia e che difficilmente avremo nei prossimi mesi», ha detto Cestari in un'intervista, sottolineando l'attivismo di Cameron e Sarkozy in Libia ma anche la "disattenzione" del nostro governo.

L'Italia è al primo posto tra i Paesi esportatori in Libia e al quinto tra gli importatori, con oltre 12 miliardi di euro di intescambio. Con la firma del Trattato di amicizia italo-libico, nel 2008, Tripoli è diventata il primo fornitore di petrolio all'Italia con il 23% del totale e terzo fornitore per il gas. Prima dello scoppio della guerra erano circa 130 le aziende italiane presenti in Libia attive soprattutto nel settore energetico, delle costruzioni, dei trasporti, meccanica industriale e impiantistica (vedi l'elenco delle aziende) mentre le partecipazioni libiche in Italia riguardano Unicredit (7,2% del capitale), Finmeccanica (2%), Retelit (14,7%) e Juventus (7,5%).

Lo sbarco in forze delle aziende francesi e britanniche è stato messo a punto negli ultimi mesi e ha come obiettivi prioritari il settore energetico (la Libia conta le più grandi riserve in Africa con 46 miliardi di barili di un greggio) e i programmi di ricostruzione delle infrastrutture dove il Cnt stima saranno necessari investimenti per 200 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.

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