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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2011 alle ore 19:27.

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Nonostante le pressioni di molti Stati membri, preoccupati anche dei costi finanziari, al vertice di Bruxelles conclusosi ieri la Nato non ha stabilito una data per la conclusione dell'operazione "Unified Protector" in Libia. «Non è ancora finita, ma mi aspetto che il momento della conclusione arrivi presto» ha detto in conferenza stampa il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, prevedendo tempi rapidi. Il mandato però è stato rinnovato dalla Nato fino al 27 dicembre e dal campo di battaglia non sembrano giungere notizie incoraggianti. A Sirte si combatte ancora duramente e nonostante un mese di assedio e innumerevoli "assalti finali" le forze lealiste sono ancora in grado di lanciare contrattacchi come quello di oggi nel quartiere universitario, in quello di al-Giza e intorno all'ospedale Ibn Sina all'interno del quale dovrebbe esserci il comando delle truppe di Gheddafi, guidato dal figlio Muttasim.

Gli insorti del Consiglio Nazionale di Transizione hanno circondato da tempo la città ma dispongono di forze limitate e non coordinate tra le diverse milizie. ''Sono degli stupidi'' ha dichiarato un miliziano parlando dei suoi comandanti. ''Non puoi prendere la città con 15 uomini'' ha aggiunto criticando i miliziani della Cirenaica che non sono riusciti a sfondare sul fronte orientale. Secondo al Arabya i morti nella città natale del Colonnello sono almeno 22 tra le fila degli insorti con 146 feriti solo nelle ultime ore. A Bani Walid, altro bastione delle forze di Gheddafi, dato per espugnato già un mese or sono, i ribelli sono fermi sulle loro posizioni e l'iniziativa militare viene spesso assunta dagli assediati. Come è accaduto a Ragadaline, 130 km a sudovest di Tripoli, dove mercoledì è scoppiata una violenta battaglia tra 900 soldati del rais e i ribelli che li avevano accerchiati. I lealisti, invece di arrendersi hanno attaccato la vicina città di Zuara uccidendo un comandante del Cnt. Gli uomini del raìs combattono ancora con tenacia per quella che Rasmussen ha definito «una causa persa» ma molti elementi potrebbero contribuire a lasciare agli uomini di Gheddafi ancora alcune carte da giocare, specie se verrà confermata la mobilitazione di 12 mila tuareg del Fezzan.

Innanzitutto le crescenti divisioni all'interno del Cnt unite alle difficoltà militari registrate dai ribelli divisi in decine di milizie. Pesano del resto le rivalità tribali e soprattutto la crisi militare che si sta sviluppando a Tripoli tra gli estremisti islamici e i "laici". Il Cnt, dopo aver tentato inutilmente di disarmare le diverse milizie presenti in città, ha ordinato la costituzione di una forza di 22 mila uomini che avrebbe ufficialmente il compito di gestire l'ordine pubblico. Alla testa della nuova forza di sicurezza ha guida Abdullah Ahmed Naker, che dice di agire sotto gli auspici del presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, e che non nasconde la scarsa simpatia per Abdulhakim Belhaj, capo del Consiglio militare della capitale e leader della resistenza armata islamica (Gruppo Militante Islamico Libico). Belahj ha risposto minacciando di scatenare "il terrore'' per le strade di Tripoli se i gruppi armati non autorizzati non deporranno le armi.

La crisi interna ai ribelli mina la fiducia della popolazione nei nuovi leader libici e aiuta Gheddafi (segnalato dal Cnt a Bani Walid) che giovedì ha diffuso un messaggio audio trasmesso dalla tv Arria, basata in Siria, nel quale ha invitato i libici a scendere nelle strade a milioni per protestare pacificamente accusando le potenze straniere di voler conquistare i Paesi del Terzo Mondo. In un contesto così instabile confuso non c'è da stupirsi se la Nato resta sul campo anche se a ranghi sempre più ridotti. Londra ha richiamato un quarto dei 20 suoi jet, da combattimento, Parigi ha lasciato nella base italiana di Sigonella solo 5 cacciabombardieri Rafale mentre l'Italia ha ridotto da 14 a 5 i velivoli assegnati alla missione.

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