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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2011 alle ore 14:25.

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Ellen Johnson-Sirleaf (Reuters)Ellen Johnson-Sirleaf (Reuters)

Ciò vale anche per l'attuale governo: chiunque sia colpevole di corruzione sarà consegnato alla giustizia. Al contempo dobbiamo impegnarci anche a migliorare i salari nel servizio pubblico: molti degli impiegati guadagnano solo 20 dollari americani al mese, appena sufficienti per sfamare la famiglia e mandare i figli a scuola. Intendiamo promuovere il settore privato per ridurre le dimensioni di quello pubblico: e nel settore privato - continua EJS - abbiamo bisogno di persone oneste e competenti. A questo proposito, vorrei ricordare ai nostri amici imprenditori stranieri il detto secondo il quale si è sempre in due a ballare il tango: sono anche gli investitori a doversi rifiutare di pagare tangenti. Da parte del governo avranno sempre il sostegno necessario». Intanto una recente riforma fiscale impone, molto semplicemente, di pagare le tasse. Con quest'ultima, sostiene un giornalista politico di Star Radio, «la presidente si è fatta parecchi nemici. I più scontenti sono i commercianti libanesi, che hanno in mano metà dell'economia, e quindi sono quelli con le mani più sporche». Puntuali, alla fine dello scorso anno, hanno cominciato a circolare voci di un possibile attentato. Per tutta risposta EJS ha inaugurato un tour delle quindici contee del Paese: stop alle visite ufficiali all'estero, ha dichiarato, voglio approfittare della stagione secca per incontrare la popolazione, incoraggiarla, far sentire che il governo la sostiene nello sforzo di ricostruzione.

Ho seguito EJS per alcuni giorni, lungo piste disastrate di terra rossa, nei villaggi di fango, tra ali di folla dalle membra magre, i vestiti logori, gli occhi spauriti, incredula, in estasi, a fissare quel convoglio sorprendentemente esiguo per gli standard africani, la presidente su una jeep Mercedes blindata, tre camionette con i soldati delle Nazioni Unite appollaiati sul tetto, il resto dello staff stipato a bordo di una mezza dozzina di berline malconce. Ogni volta che vede gente EJS fa fermare la macchina, scende nella nuvola di polvere sollevata dalle ruote, lei miracolosamente fresca sotto il sole equatoriale, attorno gli uomini della scorta sudati fradici e già esausti; sorridente e un po' paternalistica si immerge nella folla che esplode di gioia; stringe mani, si informa dell'età di un neonato in braccio alla sorellina, passando di fronte ai tamburi accenna un passo di danza, mentre gli uomini alle sue spalle distribuiscono caramelle ai bambini e sacchi di riso e rotoli di banconote ai capi villaggio. Chi è interessato - le chiedo - a vederla morta? EJS ride: «Non lo so, e non perdo tempo a pensarci. Prendo precauzioni. Ma soprattutto so di agire nell'interesse della nazione, e so di avere la maggior parte dei liberiani al mio fianco. È questa la mia più grande sicurezza».

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