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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2011 alle ore 13:27.

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Sapete qual è il Paese che nel primo trimestre del 2011 ha registrato il maggior aumento del Pil? Il Ghana. E quello che negli ultimi 5 anni ha fatti i maggiori progressi nell'agevolare gli imprenditori secondo la Banca Mondiale? Il Rwanda che ormai figura in 58esima posizione. L'Italia è all'80esimo posto.

Il tasso medio di crescita del Pil nell'Africa subsahariana è attorno al 5,5% e tale dovrebbe restare anche nel 2012, secondo le ultime stime del Fmi. Con i Paesi più poveri,come Etiopia o Mozambico, che cresceranno di più. Anche il Sudafrica, l'economia più evoluta del Continente ma con i maggiori problemi sociali (disoccupazione oltre il 25%) crescerà del 3,5 per cento.

Il giudizio comune di chi guarda all'Africa oggi è: lo sviluppo c'è, ma è a macchia di leopardo. Verissimo. Ma è un leopardo sempre più "chiaro". E vale anche la pena di esaminare cosa c'è sotto la pelliccia. Le materie prime? Indubbiamente, se si guarda a Paesi come l'Angola (petrolio) o lo Zambia (rame). Ma le risorse non bastano. La Nigeria, ricca di petrolio, ha buttato al vento centinaia di miliardi di dollari ricavati dal petrolio per colpa dei suoi governanti. Che adesso, per fortuna, sono cambiati.

Ed è questo un altro elemento a cui guardare con attenzione: anche nei Paesi peggio governati c'è una forte opinione pubblica e una classe media crescente, giovane, che ha studiato e che comincia a chiedere conto dell'utilizzo delle ricchezze ai propri governanti.

La lista di quelli impresentabili, caduti negli ultimi anni dietro un'ondata di pubblico sdegno, sopra e sotto la cintura del Sahara è lunga: Marc Ravalomanana in Madagascar, Moussa Camara nelle Guinea Conakry, Mamadou Tandja in Niger, Laurent Gbagbo in Costa d'Avorio, Ben Alì, in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto e ora Gheddafi.

Oggi nessuno è in grado di predire con esattezza quale sarà il nuovo contesto che nascerà dopo la Primavera araba. Tutti gli occhi sono puntati sulla maggior o minore tinteggiatura islamica o invece laica dei nuovi governi, ma si dimentica una conquista che resterà: la maggiore accountability nella gestione delle ricchezze pubbliche. Che torna a vantaggio di tutti, incluse le nostre imprese.

È uno dei temi del quinto Forum sulle relazioni tra Europa e Africa che si terrà a Taormina il 6 e 7 ottobre, organizzato dalla Fondazione Banco di Sicilia in collaborazione con the European House-Ambrosetti: «Si è aperta una finestra storica di opportunità per l'Europa per rilanciare, su basi di mutua convenienza, una strategia bi-continentale euroafricana per la crescita», sostiene Paolo Borzatta, senior partner di Ambrosetti.
Spiega anche Pier Luigi d'Agata, direttore di Assafrica & Mediterraneo, che raggruppa le aziende italiane che operano nel Continente e che si mantiene in stretto contatto con le "Confindustrie" dell'altra sponda del Mediterraneo: «In Nordafrica stanno crollando le grandi lobby familiari e i monopoli, lasciando maggior spazio alle piccole e medie imprese locali e straniere. Ne sono consapevoli i nostri associati che non solo non hanno intenzione di abbandonare il campo ma sono orientati ad aumentare gli investimenti».

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