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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2011 alle ore 08:11.

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PARIGI - A meno di ulteriori sorprese dell'ultima ora, oggi si conoscerà con precisione il futuro di Dexia. La banca franco-belga che a seconda delle scuole di pensiero è l'ultima vittima della crisi del 2008 (quella dei subprime e degli "asset tossici"), la prima della crisi che stiamo vivendo oggi (quella dei debiti sovrani) o di tutte e due.

A Bruxelles si riunirà infatti il consiglio di amministrazione della società, inizialmente previsto per ieri, che approverà lo smantellamento deciso dai Governi francese e belga. Tra i quali peraltro ci sono state ancora intense discussioni a livello politico e tecnico sui dettagli della complessa operazione. In mattinata si sono parlati i due premier François Fillon e Yves Leterme e nel pomeriggio, prima di un nuovo vertice straordinario del Governo belga, i due ministri delle Finanze François Baroin e Didier Reynders.

L'operazione è complessa ma il tempo stringe, visto che la Consob belga ha disposto la sospensione del titolo fino a domani mattina e prima della riapertura della Borsa i mercati devono conoscere esattamente configurazione e prospettive delle nuove entità in cui sarà diviso il gruppo.
Per quanto riguarda Dexia Banque Belgique, la filiale belga che opera soprattutto nel retail, sarebbe stato raggiunto un accordo tra il Governo e le tre Regioni (Fiandra, Vallonia e Bruxelles) in base al quale ci sarebbe una nazionalizzazione. Inizialmente le tre Regioni, che detengono una quota di capitale di Dexia identica a quella dello Stato (5,7%) erano ostili, temendo di perdere la possibilità di dire la loro sulla gestione della società. Così come le associazioni degli enti locali (Holding communal che ha il 14,1%) e dei sindacati (Arcofin, 13,8%). Ma alla fine si sarebbe individuata una soluzione che prevede un primo step con la nazionalizzazione e un secondo con un aumento di capitale riservato che ridarebbe ruolo agli altri attori.

Su questo punto restava però da definire la questione del prezzo. Bruxelles vorrebbe sborsare una cifra non superiore ai 4 miliardi, mentre Parigi (che di Dexia ha la stessa quota dello Stato belga, oltre al 17,6% in mano alla pubblica Caisse des dépots e al 3% di Cnp Assurances) vorrebbe spuntare qualcosa di più (intorno ai 5 miliardi).

In prospettiva rimane sul tavolo anche l'ipotesi di una cessione: secondo il quotidiano belga L'Echo si sarebbero già fatte avanti Deutsche Bank, Rabobank, il Crédit Mutuel e Bbva. Quest'ultima avrebbe inoltre presentato un'offerta anche per la turca Denizbank, che interessa anche ai russi di Sberbank e per la quale non sembrano mancare i candidati.

L'altro aspetto ancora in discussione riguarderebbe la ripartizione delle garanzie che i due Stati dovranno fornire alla "bad bank" creata per rilevare i circa 95 miliardi di asset obbligazionari destinati a essere alienati. Stando all'attuale equilibrio societario, alla Francia spetterebbe il 60% e il 40% al Belgio. Ma la prima, preoccupata di perdere la propria tripla A, preme per una ripartizione 65-35. E il secondo, che ha addosso i riflettori delle agenzie di rating, spinge per un 50-50.

Sarebbe invece ormai definita la creazione di una società a maggioranza Banque Postale (65%) con la partecipazione minoritaria della Caisse des dépots (Cdc), incaricata di rilevare le attività di Dexia nel settore del finanziamento agli enti locali francesi (e relativa struttura emittente). In attesa che diventi operativa, il premier Fillon ha comunque rassicurato Comuni, Province e Regioni: la Cdc fornirà almeno tre dei cinque miliardi necessari da qui alla fine dell'anno.

Anche se mancano gli ultimi particolari, oggi calerà comunque il sipario su Dexia, la folle avventura ideata (con molti complici, in Francia e in Belgio) dall'ingegner Pierre Richard, che per 15 anni - prima di essere cacciato da Sarkozy nel 2008 - è stato il patron della banca. Dalla quale riceve 583mila euro di pensione all'anno.

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