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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2011 alle ore 08:08.

ROMA. Il volto terreo di Silvio Berlusconi che, con una smorfia di fastidio rivolta a Giulio Tremonti, guadagna rapidamente l'uscita dell'aula in cui era arrivato pochi minuti prima per votare: è il fermo-immagine che racconta quanto quello di ieri non sia stato un mero «incidente di percorso». Il premier, colto in contropiede, ha dato mandato ai suoi di minimizzare. Ma è una 'mission impossible'.
L'eco delle parole con cui Gianfranco Fini ha accolto la richiesta della maggioranza di sospendere la seduta per «le evidenti implicazioni di carattere politico dell'accaduto», rimbomba in Transatlantico e nella sala del governo, al di là della vetrata, dove il Cavaliere cerca di capire come «è potuto accadere» ma soprattutto «cosa fare adesso» per riparare.
Due interrogativi che restano appesi per tutto il resto della serata, fino a Palazzo Grazioli dove Berlusconi si riunisce fino a notte con lo stato maggiore di Pdl e Lega per trovare un'«exit strategy» non è a portata di mano anche perché ‐ sia pure informalmente ‐ deve essere condivisa dal Capo dello Stato, visto che siamo in presenza della bocciatura di un provvedimento ‐ il rendiconto del bilancio ‐ espressamente richiamato dalla Costituzione (articolo 81). E non è tutto.
Della questione è stata investita la Giunta per il regolamento della Camera in cui la maggioranza ce l'ha l'opposizione. Berlusconi in prima battuta conta di riparare con un suo intervento alle Camere in cui chiederà nuovamente la fiducia. Un modo per spazzare il rischio di dimissioni. Proprio a questo aveva fatto infatti esplicito riferimento il leader dell'Udc Pierferdinando Casini citando il caso del governo Goria. Ipotesi che il Cavaliere non prende in considerazione.
Certo, l'elenco degli assenti fa venire più di un dubbio non solo per il numero (una trentina) ma per i nomi eccellenti che spiccano: Tremonti, Scajola, Bossi. Tre voti sufficienti, se fossero arrivati, a evitare la débacle. Tre voti che sono anche tre indizi e forse una prova di una maggioranza in disfacimento. «È stato un incidente», giura Bossi che al momento del voto sorseggiava un bicchiere di Coca-cola assieme a due deputate del Carroccio. Lo stesso dicasi per il ministro dell'Economia, sedutosi tra i banchi del governo quando ormai era troppo tardi. Su Tremonti si sono concentrati gli strali più pesanti dei colleghi di partito con richieste pubbliche di «dimissioni». In realtà neppure Berlusconi crede che «Giulio l'abbia fatto apposta». Ma, come spiega Osvaldo Napoli, fedelissimo del premier, la sua assenza pur non essendo «dolosa» esprime «mancanza di rispetto» verso gli altri deputati che erano lì a votare «un suo provvedimento». L'unico a giustificarlo è il Senatur. «Stava lavorando alla manovra», assicura Bossi che dopo aver derubricato anche lui la bocciatura di ieri a «incidente» torna però a mettere in discussione la durata del governo con un «vedremo». C'è poi Scajola che proprio ieri aveva pranzato a Palazzo Grazioli con il Cavaliere. Anche lui assieme a quattro parlamentari che parteciperebbero alla «fronda» non ha votato. Così come i sette Responsabili, con in testa Pionati che da tempo borbotta per la mancata promozione a sottosegretario. «Ma non c'è niente di serio», continuano a ripetere i pasdaran del premier da Denis Verdini a Daniela Santanchè.
Fatto sta che trovare una soluzione adesso è complicato. L'ipotesi abbozzata in prima battuta di un emendamento «correttivo» apposto alla fine del provvedimento appare difficilmente percorribile. «L'unica possibilità è ricominciare, presentare un nuovo ddl, ripercorrere tutta la procedura, compreso il passaggio alla Corte dei conti», profetizza Paolo Cirino Pomicino, ieri attorniato in Transatlantico da (ex) colleghi e giornalisti che gli chiedevano lumi, a lui che per anni è stato presidente della commissione Bilancio e ministro a via XX settembre.
Ma se così fosse i tempi si dilaterebbero a dismisura. Con il rischio che a fine mese si concentrino troppe scadenze: la nomina del governatore di Bankitalia, il varo del decreto sviluppo, il ddl intercettazioni, la prescrizione breve e ‐ appunto ‐ anche il rendiconto del bilancio. Un affollamento pericolosissimo (c'è anche la mega-asta di titoli pubblici negli stessi giorni) per chi di giorno in giorno vede crescere dubbi e sospetti. Ecco perché Berlusconi conta di riempire l'intervallo con un voto di fiducia su un suo intervento programmatico. Basterà? L'aria che tirava ieri nel Pdl (ma anche nella Lega) lasciava poco spazio all'ottimismo. Il timore è che in Parlamento si prepari qualcosa di molto simile a quanto avvenuto il 14 dicembre dello scorso anno. Ma al contrario. Berlusconi continua a sostenere di non volersi fare da parte e a sostenere che dopo di lui ci sono solo le elezioni. È quello che dice anche Bossi. Ma entrambi devono stare attenti perché nessuno dei due oggi è in grado di garantire la rielezione delle truppe accomodate a Montecitorio e Palazzo Madama.
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