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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2011 alle ore 11:23.

Il presidente del Consiglio Nazionale di Transizione, Mustafa Abdel Jalil, ha annunciato ieri a Bengasi la completa liberazione della Libia dal regime di Muammar Gheddafi con un discorso improntato all'unità nazionale nel quale ha chiesto ai libici «perdono, tolleranza e riconciliazione» e ha invocato «il rispetto della legge. Nessuno decida - ha detto - di farsi giustizia da solo». «Ci stiamo organizzando per ridare sicurezza al Paese, stiamo costituendo un esercito nazionale che proteggerà i nostri confini e la nazione».

Strizzando l'occhio ai gruppi islamisti, in crescente dissidio con il Cnt, il presidente ha promesso il rafforzamento della Legge Coranica che «sarà la base del nostro ordinamento». Ciò significa, ha spiegato, la modifica «della legge sul divorzio e sul matrimonio che non sono conformi alla Sharia» e «apriremo banche islamiche che non potranno dare interessi, vieteranno l'usura».

Il futuro della Libia sembra essere però ancora in bilico soprattutto sul fronte della sicurezza. La fine della missione della Nato, il 31 ottobre, potrebbe aprire la porta a missioni nazionali di supporto al Cnt organizzate dai singoli Paesi protagonisti dell'intervento alleato.
Qualcosa di più di un'ipotesi, considerati i contatti in corso tra Tripoli, Parigi, Roma e Londra, ma ancora non c'è nulla di definito. Al maldestro tentativo del premier del Cnt, Mahmoud Jibril, di addossare la morte di Gheddafi a un colpo vagante partito forse da una guardia del corpo del raìs ha risposto un rapporto di Human Right Watvh secondo il quale a Sirte sono state sommariamente giustiziate 53 persone dell'entourage di Gheddafi. L'eccidio sarebbe avvenuto in un albergo nel centro città sotto il controllo dei miliziani provenienti da Misurata.

«Abbiamo trovato 53 corpi in decomposizione, apparentemente di sostenitori di Gheddafi, in un albergo abbandonato di Sirte e alcuni di loro avevano le mani legate dietro la schiena quando sono stati uccisi - ha detto Peter Bouckaert, responsabile di Hrw che sta indagando sulla vicenda - questo caso richiede l'immediata attenzione delle autorità libiche perché indaghino su quanto accaduto e ne chiamino a rispondere i responsabili». Secondo l'organizzazione, lo stato di decomposizione fa supporre che le 53 vittime siano state uccise tra il 14 e il 19 ottobre.

Violenze che rischiano di scatenare vendette tribali in un Paese ancora diviso tra lealisti e insorti. La tribù Gheddafa ha già annunciato che non riconoscerà il Cnt e ha nominato il figlio del Colonnello, Saif al Islam, capo della tribù e della "guerra di liberazione". Lo stesso Saif, sfuggito all'assedio di Sirte insieme al capo dell'intelligence, Abdallah al-Senussi, ha dichiarato alla televisione siriana al-Rai di poter contare anche sul supporto "della tribù di Bani Walid", cioè i Warfalla che con un milione di persone costituiscono un sesto della popolazione libica.

«Io vi dico, andate all'inferno, voi e la Nato dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere», ha detto Saif che potrebbe aver raggiunto la zona desertica al confine col Niger dove potrebbe contare sull'aiuto anche dei tuareg e potrebbe catalizzare il malcontento delle popolazioni di colore del Fezzan che hanno subito violenze, esecuzioni di massa, arresti e torture di stampo razzista dagli uomini del Cnt che li accusano di essere mercenari di Gheddafi.

Finita la guerra per così dire convenzionale i lealisti potrebbero dare vita a un'insurrezione basata su azioni di guerriglia, attentati contro obiettivi politici e infrastrutture energetiche e rapimenti di personale straniero. Azioni già preannunciate nei giorni scorsi dallo stesso Saif al Islam e dal portavoce di Gheddafi, Mussa Ibrahim. Azioni che il Cnt potrebbe avere molte difficoltà a contrastare senza i jet della Nato e un robusto supporto di forze terrestri occidentali. Del resto venerdì scorso il ministro degli Esteri britannico, William Hague, aveva insistito inutilmente al Consiglio Atlantico per un prolungamento della missione della Nato per essere certi «che non ci siano ancora sacche di forze lealiste in grado di minacciare la popolazione civile».

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