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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2011 alle ore 17:59.

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Non ha mostrato certo molta delicatezza o "savoir faire" il ministro della Difesa francese Gerard Longuet quando il 22 ottobre ha dichiarato a Le Monde che «i nuovi dirigenti della Libia sanno che devono molto alla Francia» affermando che Parigi «punterà a svolgere un ruolo di partner principale». Una dichiarazione palese della volontà francese di acquisire il maggior numero dei commesse nella torta (che si preannuncia molto rucca) rappresentata dalla riorganizzazione e ricostruzione delle forze armate libiche.

Con le forze di Gheddafi pressoché annientate da oltre 26 mila raid della Nato (quasi 10 mila da attacco) la Libia si trova oggi priva di capacità militari, anche quelle basiche necessarie a controllare gli spazi aerei e marittimi e i lunghissimi confini terrestri. Anche trasformare le 70 milizie che si riconoscono nel Consiglio Nazionale di Transizione in un esercito richiederà forse anni durante i quali i Paesi amici della Libia faranno a gara a fornire servizi, programmi d'addestramento, armi, equipaggiamenti, radar, navi, velivoli, mezzi terrestri. Londra valuta di mantenere i propri jet in Italia dopo la fine della missione della Nato, il 31 ottobre, perché qualcuno dovrà pur garantire il controllo dei cieli libici.

L'affare del supporto militare alla nuova Libia ha valore complessivo valutabile in qualche decina di miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, finanziabili grazie all'export di gas e petrolio, che vedrà protagonisti britannici, francesi, italiani ma a quanto pare non i russi, fornitori privilegiati durante il regime di Gheddafi. Per Parigi la competizione sul mercato libico ha una rilevanza assoluta almeno a giudicare dall'aggressività di Longuet nei confronti dell'Italia, importante competitore sul mercato libico. «I Paesi della coalizione cercheranno probabilmente di adottare posizioni più bilaterali nelle loro relazioni con la Libia. Ognuno cercherà di trarre vantaggio dal gioco» ha dichiarato ma per rafforzare il ruolo militare giocato dai francesi il ministro ha spiegato con un evidente riferimento all'Italia che «non ci siamo impegnati in modo tardivo, mediocre, incerto. E non abbiamo nulla da farci perdonare'.

Un "coup de finesse", come direbbero a Parigi ma il motivo dell'atteggiamento aggressivo, fuori luogo e certo sopra le righe del ministro francese (che dimentica come i suoi jet abbiano potuto attaccare in forze la Libia solo grazie alla disponibilità italiana a concedere l'uso della base di Sigonella) è legato al pessimo andamento dell'export militare francese che, unito ai tagli alla Difesa apportati dallo stesso Longuet, rischiano di mettere in crisi (anche occupazionale) buona parte dell'apparato industriale del settore Difesa d'Oltralpe, per lo più a controllo statale.

Il "Rapport au Parlement sur les exportations d'armement de la France pour 2010" presentato nei giorni scorsi dal Ministero della Difesa registra infatti il crollo delle commesse militari calate nel 2010 a 5,1 miliardi di euro contro gli 8,1 del 2009 e i 6,5 del 2008. La Francia resta il quarto esportatore mondiale di armi ma l'obiettivo di raggiungere i 10 miliardi di export annui, equivalenti alle commesse interne delle forze armate nazionali, sembra destinato a naufragare. Comprensibile quindi il nervosismo di Longuet, impegnato negli ultimi anni come il presidente Nicolas Sarkozy a fare il "commesso viaggiatore" per l'industria nazionale e consapevole che nei prossimi mesi si giocherà le ultime carte per rilanciare l'export militare.

Il cacciabombardiere Rafale, protagonista della guerra libica e proposto l'anno scorso allo stesso Gheddafi, non è stato finora mai esportato ma entro l'anno verranno definite le commesse in India, Emirati Arabi Uniti (Eau) e Svizzera, Paesi dove il jet della Dassault è entrato nella "short list". Le speranze maggiori riguardano gli Emirati che sembrano pronti ad acquistare 60 Rafale (per un valore di una decina di miliardi di euro inclusa l'assistenza logistica e l'addestramento) ma solo se verrà trovato un acquirente per altrettanti Mirage 2000 ancora in ottime condizioni in servizio con la forza aerea emiratina. Secondo i piani di Parigi e Abu Dhabi, in prima linea a sostenere gli insorti il Cnt di Bengasi, proprio la Libia dovrebbe acquistare i cacciabombardieri usati dagli Emirati Arabi consentendo di sbloccare il contratto per i Rafale.

Un buon affare per tutti: la Francia incasserebbe due importanti contratti che garantirebbero introiti rilevanti per i prossimi decenni, gli EAU risparmierebbero sul costo dei Rafale e la Libia si doterebbe di un velivolo moderno, più aggiornato dei Mirage F-1 che aveva in servizio durante il regime di Gheddafi ma senza sostenere le spese richieste per una flotta di velivoli nuovi. La concorrenza, anche italiana ed europea è però molto forte come dimostrano i nervi tesi di Longuet.

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