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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2011 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2011 alle ore 09:11.

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La Commissione europea è in prima linea nella battaglia per l'euro. Le decisioni del vertice dell'Eurozona di mercoledì rispondono in modo credibile a cinque punti del Piano d'Azione presentato il 12 ottobre dall'Esecutivo Ue per difendere l'euro. Oltre a rafforzare il fondo salva-Stati, le banche, la governance economica basata sul metodo comunitario e un piano per la stabilità e la crescita, l'accordo prevede misure perché la Grecia possa uscire dal tunnel con un debito sostenibile.

Unione e Fmi hanno reso disponibili 100 miliardi di euro e i privati hanno accettato di rinunciare al 50% dei loro crediti. Con l'attuazione di un serio programma di riforme, il debito greco può tornare al 120% del Pil e l'economia ripartire.Pur prendendo atto dell'intenzione del governo greco d'indire un referendum, la Commissione ritiene che il piano per la Grecia sia il migliore possibile.

L'Italia è in una situazione molto diversa. Ma si è visto che l'instabilità in Grecia può far divampare nuovamente l'incendio e il nostro Paese, con i suoi storici mali da debito pubblico e crescita poco brillante, rischia di ritrovarsi, più di prima, sull'ultima frontiera. La salvezza dell'euro dipende anche dall'unità nazionale e coesione politica e sociale che sapremo dimostrare per una sfida che riguarda tutti, governo, partiti, sindacati, rappresentanze economiche, società civile. Se non riusciremo a mettere in primo piano l'interesse generale del Paese e dell'Europa, sarà difficile dare risposte adeguate.

L'azione del governo per la stabilità e la crescita va nella giusta direzione, come indicato dalla Commissione e riconosciuto dal vertice di mercoledì. Ma la Grecia sta mutando lo scenario, quello che andava bene ieri potrebbe non bastare domani. Rimandare ancora scelte difficili significherebbe solo essere costretti a imporre sacrifici ancora maggiori. Il fronte del rilancio della crescita per il nostro Paese è dunque urgentissimo e vitale. I test sulla competitività presentati il 18 ottobre dalla Commissione evidenziano che l'Italia è tra i paesi in cui vi è ancora molto lavoro da fare.

Bisogna ridurre l'impatto della spesa per interessi, tagliando ancora sprechi, costi amministrativi e della politica; e rendere lo Stato sociale più sostenibile. Dobbiamo rafforzare la nostra vocazione all'export anche con una tassazione che pesi meno su lavoro e imprese e più su consumi e rendite. Va accelerata l'opera per liberare il potenziale delle nostre imprese, con più libertà, più semplificazione. Le risorse limitate, tra cui i fondi regionali Ue, vanno concentrate su vere priorità, l'accesso ai capitali per le Pmi, la ricerca, l'innovazione industriale, infrastrutture strategiche. Va applicata da subito la direttiva sui ritardi dei pagamenti per ridare a imprese che rischiano di fallire 60 miliardi di euro di arretrati dovuti dalle Pubbliche Amministrazioni.

Un punto politico fondamentale non è più rinviabile: l'equità generazionale senza la quale non vi può essere vera coesione sociale. Sistemi pensionistici e mercato del lavoro devono essere aperti anche alle nuove generazioni che rischiano di essere tagliate fuori da un odioso egoismo dei padri verso i figli su cui sono ancora arroccate alcune forze politiche e sindacali. L'Italia non può più permettersi oltre un quarto di giovani in cerca di lavoro - spesso comunque precario - che già sanno che non andranno in pensioni prima dei 75 anni con poco più del 50% dell'ultimo stipendio; quando ora vi sono baby pensionati che pesano sull'Inps con regimi di anzianità e l'80% dell'ultimo stipendio. Serve un nuovo patto tra generazioni. A cominciare da un mercato del lavoro più flessibile, passaggio immediato al sistema contributivo e pensioni di anzianità più eque e sostenibili.

Il dibattito sulla sovranità che si è aperto in Europa con l'annuncio del referendum greco e le reazioni, anche nel nostro paese, ai cosiddetti "diktat" dell'Ue o del "direttorio" franco-tedesco, dimostrano che, oltre a spegnere il fuoco della crisi, va affrontato con urgenza il tema di una nuova Europa più politica e democratica. Dibattito che riguarda anche i partiti nazionali, a cominciare da quello di Angela Merkel in cui si discute apertamente di una riforma del Trattato Ue per rafforzare la governance economica su basi più democratiche e maggiore coinvolgimento di Commissione, Parlamento e Corte di Giustizia. Personalmente ritengo anche necessario dare un ruolo più equilibrato alla Bce avvicinandolo a quello della Fed americana.

La crisi, che è anche fallimento di un certo modello di globalizzazione della finanza e dei mercati non più governati da democrazie e regole, ha messo in luce la necessità di riaffermare il primato della politica per sconfiggere euroscetticismo e populismo. Credo che l'appello del Sole 24 Ore vada in questa direzione.

Vicepresidente della Commissione europea responsabile per l'Industria

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