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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2011 alle ore 08:53.

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Lo ha detto e ripetuto più volte, anche al Capo dello Stato: contano i numeri. Silvio Berlusconi da ieri però quei numeri li vede traballare pericolosamente. Alla Camera ha già perso la maggioranza assoluta. Ida D'Ippolito e Alessio Bonciani hanno lasciato il Pdl iscrivendosi al gruppo dell'Udc.

L'asticella a favore del suo governo scende così da 316 a 314 voti. Ma è un numero che ancora non fotografa il reale stato della maggioranza. Non sono pochi coloro pronti a votare no o, almeno in prima battuta, ad astenersi. La prova generale sarà il voto sul rendiconto previsto alla Camera per venerdì, poi toccherà al maxi emendamento alla legge di stabilità, quello promesso da Berlusconi a Merkel e Sarkozy.

Lì dentro – tanto per fare un esempio di merito – c'è anche l'abolizione delle tariffe minime, contro la quale quest'estate si scagliarono gli avvocati della maggioranza ottenendone la cancellazione.

Giustina Destro, uno degli esponenti che il 14 ottobre ha lasciato il Pdl non votando la fiducia a Berlusconi, ha garantito che il via libera al rendiconto è «scontato». I dissidenti però sono intenzionati a contarsi e per questo, probabilmente, pur non votando «no», si asterranno o non si presenteranno. Una scelta che viene valutata anche dal resto dell'opposizione.

Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, i leader del terzo polo, sono particolarmente attivi in questi giorni. Nei loro uffici sono stati visti transitare ieri anche Isabella Bertolini, ex fedelissima del Cavaliere e Giancarlo Pittelli, due dei sei sottoscrittori della lettera redatta l'altra notte all'hotel Hassler di Roma con la quale chiedono l'allargamento della maggioranza al terzo polo. Gli altri quattro sono la stessa Destro, Fabio Gava (anche lui non aveva votato il 14 ottobre la fiducia), Roberto Antonione e Giorgio Stracquadanio.

Quest'ultimo è forse l'unico indisponibile a votare contro il Cavaliere. Un'eventualità che verrà presa in considerazione solo qualora Berlusconi, pur davanti alla perdita della maggioranza assoluta, sia intenzionato comunque ad andare avanti sbarrando la strada a qualunque altro governo non presieduto da lui. Si ipotizza una nuova mozione di sfiducia. Ma questa volta sia il Pd che il terzo Polo sono pronti a farsi avanti solo se ci saranno 316 deputati pronti a sottoscriverla. Un numero che in realtà non è così lontano da raggiungere.

Ai 5 sottoscrittori della lettera e ai due nuovi componenti dell'Udc vanno aggiunti anche i possibili scontenti del misto dove ieri è approdato anche l'ex Fli Antonio Buonfiglio che, assieme a Adolfo Urso e Pippo Scalia, punta a creare una componente autonoma dentro il misto. Lo smottamento è anche tra i responsabili. L'ex capogruppo Luciano Sardelli l'addio l'ha già dato ed è convinto che siamo solo all'inizio: «Se Berlusconi non fa un passo indietro il Pdl si frantumerà». Nei prossimi giorni potrebbe seguirlo Antonio Milo: il 14 ottobre fu proprio lui a garantire a Berlusconi quota 315. Torna a farsi sentire pure Claudio Scajola: «Se Berlusconi non può gestire la svolta si faccia da parte».

Il premier ha dato mandato ai suoi di chiudere a qualunque possibilità che lo vedesse fuori da Palazzo Chigi. Alfano ieri lo ha ripetuto anche al Quirinale. Si tenta di recuperare i malpancisti e non a caso da ieri i toni sono più morbidi, come confermano le parole utilizzate da Osvaldo Napoli, che sostiene di dover ascoltare le ragioni degli «scontenti». A tentare di tappare la falla però ci pensa soprattutto Denis Verdini. Il coordinatore del Pdl sta lavorando ai fianchi i dissidenti (uno di loro ha ricevuto la sua telefonata mentre era nell'ufficio di Casini). Si punta anche su alcuni scontenti al Senato del Pd, che dovrebbero compensare l'uscita di Pisanu e di altri 8 senatori. Ma il timore maggiore è sempre alla Camera. A salvare il Cavaliere anche stavolta potrebbero essere i sei radicali. Berlusconi ci lavora da quando li vide entrare in aula, il 14 ottobre, rompendo la scelta aventiniana dell'opposizione

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