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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2011 alle ore 23:02.
L'ultima modifica è del 21 novembre 2011 alle ore 20:00.

L'Egitto vive la crisi più grave del "nuovo" Egitto. Il paese simbolo della primavera araba sbocciata in Tunisia nel dicembre 2010, sembra tornare indietro o forse rivela che il Paese non ha vissuto alcuna rivoluzione compiuta ma solo un passaggio di testimone all'interno di un sistema di potere intatto. Fuori il rais-generale Mubarak, al potere per trent'anni, dentro il generale Tantawi, sodale e coetaneo di Mubarak, alla guida del Consiglio supremo delle forze armate che ha sciolto la Costituzione e indetto nuove elezioni per il 28 novembre che il viceprimo ministro egiziano, Ali el Selmi, ha dichiarato che si terranno regolarmente.
Elezioni che dovrebbero essere libere, ma che alcuni mettono ora in dubbio nonostante la tregua apparente tra manifestanti e polizia, perché gli scontri sono ripresi a piazza Tahrir al Cairo fin quasi alla sede del ministero dell'Interno dove i manifestanti sarebbero poi stati ricacciati indietro con i lacrimogeni e con spari di proiettili di gomma. In questa fase vi sono stati feriti, soccorsi da barellieri ed autoambulanze che si avvicendano sulla piazza.
Il bilancio di decine di morti (fra i 30 e i 40) e 1.800 feriti, gli analisti che assicurano «è la crisi peggiore dal 25 gennaio», (giorno che ha segnato l'inizio della fine di Mubarak ndr), la Casa Bianca che esprime «preoccupazione» e il Pentagono che invita «tutte le parti alla moderazione».
In serata, con centinaia di migliaia di manifestanti in piazza Tahrir, il Governo guidato dal primo ministro Essam Sharaf ha presentato ufficialmente le sue dimissioni al Consiglio supremo delle Forze armate e ha precisato che continuerà a guidare il paese fino alla risposta delle Forze armate. Il Consiglio supremo delle forze armate a tarda sera non aveva ancora deciso se accettare o meno le dimissioni dell'Esecutico, come dichiarato dal ministro dell'Informazione Osama Heikal
In piazza martedì alle 16
Sale la preoccupazione per la prossima manifestazione, fissata per martedì 22 novembre: l'opposizione egiziana intende sfidare ancora la sanguinosa repressione della giunta militare al potere. L'apputamento in piazza è domani alle 16 (15 n Italia), teatro sempre la piazza Tahrir dove tutto è cominicato. Tra le richieste della piazza l'anticipazione delle presidenziali ad aprile 2012. Fra le accuse alla giunta militare, quella di voler restare al potere e conservare il sistema repressivo creato sotto Mubarak.
Gli editorialisti
«Il Consiglio superiore delle forze armate era considerato come il protettore della rivoluzione ma è diventato un ostacolo per questa rivoluzione», ha scritto oggi l'editorialista Fahmi Howeidi nel quotidiano indipendente al-Shorouq. L'unico modo di uscire dalla situazione critica di questi giorni è procedere alle elezioni e fare in modo che nulla le ostacoli, dice invece all'Ansa Hisham Kassem, opinionista di rilievo, già editore di un settimanale in inglese, Cairo Times, e co-fondatore del giornale indipendente oggi più letto in Egitto, Al Masry Al Youm, per il quale, al momento, non c'è alternativa valida ai militari. «Chi chiede che i militari se ne vadano - dice Hisham - mi deve spiegare chi o che cosa propone al loro posto. E la spiegazione di queste tensioni va ricercata nell'inizio di questa vicenda».
Le richieste della piazza
Gli attivisti scesi in piazza chiedono di «fissare un'agenda per la consegna del potere a un presidente, un civile, al massimo entro aprile, le dimissioni del governo di Essam Sharaf e la nomina di un Governo di salvezza nazionale che goda del consenso delle forze politiche e che abbia piena competenza nel gestire quel che resta della fase di transizione, alla formazione di una commissione d'inchiesta sugli ultimi incidenti per perseguirne i responsabili».
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